Due novembre, immagini antiche, ricordi da bambino: i cimiteri pieni di gente, le tombe ripulite, i fiori, la gente che si incontra sui vialetti, il silenzio, il clima mesto.
Oggi ci poniamo con rispetto di fronte al mistero della morte.
Mistero teorico e un po’ fastidioso per chi – giovane e pieno di forza – guarda con sufficienza a questi riti che percepisce distanti e logori, magari sovrapponendovi una festa molto più intrigante e godereccia in cui la morte viene derisa; gesti pieni di un sordo dolore per chi ha perduto qualcuno che ha amato, per chi si è trovato solo dopo una vita fatta di abitudini consolidate.
La morte è una teoria fino a quando non perdiamo qualcuno che abbiamo conosciuto e frequentato quotidianamente, con cui abbiamo intessuto un pezzo di vita.
Un giorno che obbliga a riflettere ma che sempre più si vede insidiato dalla strisciante logica dell’oblio, del “meglio non pensarci”.

Vietato ai minori
Si parla poco e male della morte, in questo nostro misterioso e schizofrenico tempo: da una parte ceniamo davanti al televisore che ci porta in casa stragi e fatti di cronaca, dall’altra importiamo tradizioni come la festa di Halloween che tenta di esorcizzare la morte mettendola sul ridere.
Ma chi ha conosciuto la morte, chi ha avuto una persona amata che se ne è andata, prende molto sul serio la morte, anzi la risposta al dilemma della morte in realtà dona senso alla nostra vita. L’atteggiamento verso la propria morte, atteggiamento adulto, non depresso né scaramantico, è all’origine di una ricerca più approfondita del mistero della vita di ciascuno.
Dobbiamo morire, certo.
Anzi, a pensarci bene è l’unica certezza.
Che senso ha la vita se, alla fine della fiera, siamo solo un vuoto a rendere?
Questo contraddice l’esistenza di Dio?
Davanti alla morte sentiamo forte la ribellione e la rabbia: non è mai il momento di morire, dovessimo scegliere noi chi e quando far morire sarebbe una vera catastrofe…
Dio tace, sulla morte e l’uomo è l’unico essere vivente che percepisce la morte come un’ingiustizia. Ma rispetto a cosa? Paradossalmente questa rabbia rivela la nostra identità profonda, il mistero che ciascuno di noi è. L’umano è l’unico vivente che ha coscienza della propria morte e vi si ribella.
Dobbiamo piegare la testa e rassegnarci? Vivere da sconsiderati tanto non sappiamo quanti giorni avremo? Far finta di niente, non pensarci e indurire il volto?
Non scherziamo.

Buone notizie
Gesù ha una buona notizia sulla morte, su questo misterioso incontro con Dio.
La morte, sorella morte, è una porta attraverso cui raggiungiamo la dimensione profonda da cui proveniamo, quell’aspetto invisibile in cui crediamo, le cose che restano perché, come diceva saggiamente il Petit Prince di Saint Exupèry, l’essenziale è invisibile agli occhi.
Siamo immortali e tutta la nostra vita consiste nello scoprire le regole del gioco, il tesoro nascosto nel campo, come un feto che cresce per essere poi partoriti nella dimensione della pienezza.
Siamo immensamente di più di ciò che appariamo, più di ciò che pensiamo di essere.
Siamo di più: la nostra vita, per quanto realizzata, per quanto soddisfacente non potrà mai riempire il bisogno assoluto di pienezza che portiamo nel nostro intimo.
E Gesù ce lo conferma: sì, è proprio così, la tua vita continua, sboccia, fiorisce, cresce.
Per una pienezza di ricerca e di totalità se hai scoperto le regole del gioco, per una vita di dubbio e di inquietudine, se hai rifiutato con ostinazione di essere raggiunto. Fa strano dirlo, lo so, ma l’inferno – che è l’assenza di Dio – esiste ed è l’opportunità che tutti abbiamo di respingere per sempre l’amore di Dio, è un segno di rispetto. Certo tutti ci auguriamo che sia vuoto e Dio si svela come un cocciuto che vuole a tutti i costi la salvezza dei suoi figli.
L’eternità è già iniziata, giochiamocela bene, non aspettiamo la morte, non evitiamola, ma pensiamoci con serenità per rivedere la nostra vita, per andare all’essenziale, per dare il vero e il meglio di noi stessi.

Happy end
Il giorno della nostra morte la nostra anima, la parte immortale che siamo, raggiunge Dio per esser accolta o per rifiutarlo.
Alla fine del tempo, nella pienezza, la nostra anima tornerà ad unirsi ai nostri corpi risorti che ora conserviamo in luoghi che riempiamo di vita, oggi, con fiori e luci, i cimiteri, che in greco significa dormitori. E sarà la pienezza, là dove Dio sarà tutto in tutti.
I nostri amici defunti, che affidiamo alla tenerezza di Dio. ci precedono nell’avventura di Dio.
Dio vuole la salvezza di ognuno, come abbiamo letto nella riflessione di Giovanni, con ostinazione, ma ci lascia liberi, poiché amati, di rispondere a questo amore o di rifiutarlo.
Preghiamo, oggi, perché davvero il Maestro ci doni fedeltà al suo progetto di amore.
La nostra preghiera ci mette in comunione con i nostri defunti, fanno sentire loro il nostro affetto, nell’attesa dei cieli nuovi e della terra nuova che ci aspettano.

Il dolore per chi ha perso qualcuno, penso a mia madre, quest’anno, si stempera nella speranza, ci invita a guardare oltre, altrove, nella dimensione autentica della vita. Così, allora, questo diventa in inatteso e intenso giorno di speranza.

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