Com’è andato il rientro, amici? Temo un po’ impattante, specialmente se in questo mese di vacanza avete ripreso in mano la vostra interiorità, la città, ahimé, non favorisce certo la meditazione e la riflessione… Animo, amici! Dio ci dona il pane della parola e il pane del cammino per abitare la città degli uomini, riprendiamo con fiducia il cammino verso la verità e la pace del cuore!
Al rientro nell’attività quotidiana troviamo una riflessione difficile ma essenziale, la riflessione sulla sofferenza. La Parola oggi ci dice che Gesù ci guarisce dalle nostre malattie, dalle nostre cecità e sordità, dai nostri disagi! Vedo già, lo ammetto, la fronte corrugata di qualcuno di voi. Vedo lo sguardo urtato di Gianni che ha perso la sposa di trent’anni in sei mesi, o di Lucia che é stata operata già sei volte in un anno … Avete ragione, occorre capirsi, troppe volte la fede cristiana è stata annegata nel dolorismo e le tragedie liquidate con un invito alla sopportazione. No: occorre liberarsi della sofferenza, occorre prendere sul serio il dubbio sulla bontà di Dio che scaturisce dal vedere il dolore, non avere paura di gridare, sul letto della sofferenza: Dio dov’è? Dio non ama la sofferenza, sia chiaro, e la sofferenza è evento tragico che nessuno desidera e che a nessuno piace, tanto meno Dio. Non è vero che non sopportiamo la sofferenza: non sopportiamo – e giustamente – la sofferenza inutile. La sofferenza della violenza, dei giri di testa, delle malvagità, cioè la quasi totalità del dolore che proviamo. Ma esiste anche una sofferenza necessaria, la sofferenza di Silvia nel partorire il suo Laurent, la sofferenza del fiato corto mentre affronti col passo pesante nell’aria rarefatta l’ultima rampa del Gran Paradiso.
Nel vangelo di oggi Marco non intende proporre un Gesù taumaturgo fine a se stesso, un Gesù primario di un’universale clinica delle guarigioni. Migliaia di lebbrosi circolavano sulle strade polverose della Palestina e pochi di essi furono sanati, migliaia di ciechi disperati chiedevano l’elemosina ai bordi delle strade e pochissimi riebbero la vista. Il miracolo è evento ambiguo, Gesù lo usa con prudenza, quasi con disagio… eppure la sua è una compartecipazione sincera al dolore del fratello: il suo prolungato sospiro dice di una compassione reale di Dio che si china sugli uomini. Dio resta sempre sconcertato nel vedere l’effetto della malattia e della morte aspetti, questo, che la riflessione biblica attribuiscono al disordine suscitato dal delirio dell’uomo di prendersi per Dio. Ma la buona notizia è che Dio interviene, Dio lavora, nel disordine del creato riporta equilibrio, indica strade di conciliazione nel profondo. Perché Gesù non guarisce tutti? Perché non guarisce me? Non lo so, amici, non lo so. Diciamo sempre che salute è la prima cosa, la cosa più importante. Gesù non è del tutto d’accordo, ci suggerisce che prima della salute c’è la salvezza, che è armonia totale, che è serenità diffusa, percepirsi in un grande progetto d’amore. D’altronde lo avete sicuramente visto anche voi, il coraggio di certe madri farsi forza per sostenere il figlio handicappato, e il gesto annoiato di chi ha tutto, salute, successo, denaro, ma si butta in un ago di siringa. Un desiderio ho sempre coltivato nel mio cuore, un desiderio colmo di ingenuità: intervistare i miracolati di Gesù. Si ha l’impressione, leggendo il vangelo, che dopo la guarigione non sia solo avvenuto il miracolo della salute, ma quello della salvezza. E’ quasi urtante sentire Gesù che chiede: "cosa vuoi che ti faccia?" al malato, a noi verrebbe da dire: “mi prendi in giro? Non si vede?”. No, non si vede: il Maestro sa che solo qualcosa di più grande della guarigione può rendere felice il cuore dell’uomo.
Qual’é la tua malattia, fratello? Quale sofferenza hai nascosto in questi anni, per non ferire il tuo sposo o il tuo figlio? Quale cruccio dell’infanzia, quale tragedia nella tua famiglia hanno intristito il tuo sorriso? Quale paura tieni nascosta nella cantina del tuo castello interiore? Quale debolezza psicologica frena lo slancio del passo? Ebbene: Gesù ti guarisce. Gesù ti salva. Gesù ti ama. E’ per questo che Isaia, il grande e tenero Isaia, spalanca gli occhi davanti a un popolo rassegnato, da settant’anni in esilio, ormai convinto che Dio non ci sia più, e sogna. Sogna un ritorno, una terra in cui la sofferenza non esiste più e l’abbondanza delle acque riempie i cuori. Un sogno che é anche quello di Dio e che si avvererà per Israele con il ritorno a Gerusalemme e, per noi, con la venuta del Regno. Questa salvezza, questa buona notizia, questo gioioso annuncio, ammonisce Giacomo, deve essere visibile sin d’ora nelle nostre comunità. Se l’asfalto del conformismo ha appiattito l’attenzione al povero, Giacomo ci richiama con forza alle nostre responsabilità di salvati. Attenti a cullare il potere. Attenti all’accarezzare la gloria che non sia il servizio agli ultimi. La Chiesa, che è il popolo di chi è stato sanato dalle proprie ferite con l’olio della consolazione di Gesù, imita lo stesso gesto verso l’umanità fatta a pezzi e ferita dall’odio e dal peccato. E penso ai mille sconfitti che ho incontrato nella mia breve vita di prete. Alle sofferenze, alle tragedie che permeano il cuore dell’uomo. Ancora ieri una persona, scossa per una morte improvvisa ed ingiusta, che gettava nel caos il futuro di una famiglia, mi diceva con rabbia "Dio dov’é?". E io, con lui, sono andato in Chiesa, e ho pregato: "Dio, dove sei?". Poi mi sono alzato e gli ho detto: "E tu, dove sei? Vediamo se possiamo inventarci qualcosa per aiutarli". Buone notizie, amici, buone notizie da celebrare e da far diventare pane quotidiano e mano tesa ad accarezzare il fratello perso.

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