Perdonare è una debolezza, dice il mondo violento intorno a noi.
È ridicolo ammettere di avere dei difetti, meglio nasconderli, negarli o ostentarli come un trofeo, in un delirio di crescente malvagità e ipocrisia.
È da deboli perdonare, salvo poi vedere il giornalista chiedere alla madre affranta: perdona l’assassino di suo figlio?
Andiamoci piano, per cortesia, il perdono è una cosa maledettamente seria.
Lo sa chi è stato ferito. Lo sa chi ha ferito.
Se domenica scorsa la liturgia ci introduceva alla pratica del perdono all’interno della comunità, oggi la Parola osa di più e ci invita a riflettere sulla ragione stessa del perdono.
Perché perdonare? E quante volte?
Storicamente, nella Bibbia, il grido orribile di Lamech, figlio di Caino, che minaccia di uccidere settanta volte sette per uno screzio (Gn 4), è attenuato dalla legge del taglione che pone almeno un freno alla rabbia, introducendo un criterio di proporzionalità nella vendetta: occhio per occhio, dente per dente. Nel Pentateuco già troviamo qualche accenno alla misericordia, sempre però limitata ai fratelli di fede.
Al tempo di Gesù i rabbini suggerivano di perdonare fino a tre volte un torto subito, per manifestare clemenza. Pietro, nel vangelo di oggi, vuole esagerare, proponendo di perdonare fino a sette volte.
Ma ha fatto male i suoi conti.

Sette volte, settanta volte settembre
Immaginatevi che, alla fine della lettura di questo testo, il vostro vicino di casa vi cerchi per chiedervi scusa: ieri sera, durante una cena con amici, ha alzato il gomito e ha parlato male di voi e ora si sente mortificato. Fate i generosi, dite che non è nulla, vi ringrazia.
Salvo poi tornare un’ora dopo dicendo che ha fatto la stessa cosa col portinaio e che vi richiede scusa. Che fate, lo perdonate? O non vi sentite presi per il naso?
La proposta di Pietro è generosa ed eroica, quella di Gesù folle, che capiamo solo nella logica divina.
Siamo chiamati a perdonare sempre perché siamo perdonati sempre.
Il piccolo credito che abbiamo verso i fratelli non è nulla rispetto al debito mostruoso che abbiamo contratto verso Dio.
E che egli ha cancellato.

Servi
Il debito del servo è volutamente assurdo: un talento equivale a 36 chili d’oro. Diecimila talenti è una cifra inimmaginabile. Quel debito viene condonato, non il debito dell’altro servo che, pur dovendo una cifra consistente al collega, circa duecento giornate lavorative, non ha di che pagare.
La reazione del padrone è feroce: sei chiamato a perdonare perché ti è stato condonato molto di più.
Ecco la ragione del perdono cristiano: perdono chi mi ha offeso perché io per primo sono un perdonato.
Non perdono perché l’altro migliori, o si converta, o si intenerisca.
A volte l’altro non sa nemmeno di essere stato perdonato e può disprezzare il mio gesto.
Non perdono perché l’altro cambi, ma perché io ho urgente bisogno di cambiare!
Il perdono mi situa in una posizione nuova, diversa, mi rende simile a quel Dio che fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti.

Consigli
Non perdoniamo perché siamo migliori e il perdono non è un’amnesia.
Dire perdono ma non dimentico fa sorridere. Perdono perché scelgo di perdonare, perché voglio perdonare. Vederti mi riapre le ferite, sto male come un cane, ma ho scelto la strada della libertà.
Per molte persone che hanno avuto la vita rovinata dalla superficialità e dalla cattiveria altrui è già un grosso risultato non augurare la morte, ma la conversione di chi mi ha ferito.
Ti perdono e prego che tu ti penta del male che mi hai fatto.
Non aspettiamo mai il perdono perfetto, quello angelico, straordinario.
Perdoniamo come riusciamo, al meglio delle nostre capacità e delle nostre forze.
Perdoniamo perché siamo perdonati, perché il perdono ci rende straordinariamente liberi.

Figli del perdono
Quanto è adulto e virile il perdono!
Quanto è forte e deciso!
Quanto è eroico e umano!
Abbiamo bisogno di donare e ricevere il perdono, di vivere da figli della riconciliazione.
Di accettare il perdono degli altri, senza rivendicazioni e ripicche.
Di chiedere perdono, ammettendo il nostro limite.
Le famiglie, le società, la Chiesa cambierebbero volto se vivessimo meglio il perdono!
Come ha intuito il grande Giovanni Paolo, riprendendo e ampliando Isaia: non c’è pace senza giustizia.
Ma non c’è giustizia senza perdono.

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