Convertirci alla gioia, ecco il cammino impegnativo ed esaltante, fatica che già gli apostoli hanno sperimentato che siamo chiamati a percorrere nel tempo pasquale. In queste settimane vogliamo spalancare il nostro cuore e rileggere la figura di Gesù alla luce della Resurrezione. Davvero ciò che egli ha detto e ha fatto è la rivelazione del vero volto di Dio. Oggi Gesù si presenta come pastore, anzi come un buon pastore, un pastore valido, capace, in grado di condurci verso pascoli freschi e verdeggianti. Parto allora da una domanda: chi o cosa è il pastore della mia vita? Piano a fare i grandiosi dicendo: non ho pastori, io scelgo da me, nessuno mi influenza. Macché, ciascuno ha dei pastori, qualcuno che ci guida, che ci fa decidere nel momento della scelta: magari la nostra educazione, ciò che gli altri ritengono essere giusto, magari il giudizio degli altri o il mio carattere o la moda… Ognuno ha dei padroni, l’importante è scegliersi il padrone giusto. Gesù dice di essere l’unico pastore che mi ama, che ci tiene a me, che mi conosce e mi valorizza. Gli altri padroni sono mercenari, lo fanno per un tornaconto. Vero, molto vero: al mio datore di lavoro sto simpatico se produco, alle volte anche i miei amici e i miei parenti mi amano a patto di comportarmi secondo ciò che essi si aspettano. Dico sempre alle mie catechiste che i nostri oratori e le nostre proposte saranno sempre perdenti rispetto alla squadra di calcio o la polisportiva di sci. Se non per una cosa: ad un allenatore vai bene se diventi un calciatore o un grande discesista. A me i ragazzi stanno a cuore anche se sono incapaci e inabili a fare qualunque cosa. Dio ci ama gratis, quando lo capiremo? Non ci ama perché siamo buoni ma, amandoci, ci rende buoni. E il suo amore senza condizioni è vero e serio: Gesù sceglie – e lo sottolinea – di donare la sua vita, non vi è costretto, lo desidera e lo fa, perché davvero mi ama…Anche noi a sua immagine, siamo chiamati ad amare, a dire ai fratelli che non credono quale è il vero volto di Dio, ad allontanare i mercenari che ci considerano validi solo se produciamo o consumiamo. Vivere da pecore (non da pecoroni!) significa prendere sul serio le parole di Gesù, riferirsi a lui nelle scelte quotidiane, amare e amarci come lui ci ha chiesto, insomma vivere da risorti, da salvati. Non si tratta di salvare il mondo, il mondo è già salvo, si tratta ci creare delle zone franche, degli spazi di verità nelle nostre città isteriche in cui ognuno sia.
Nel realizzare questo grande sogno, aspettando che il Regno contagi ogni uomo e lo renda felice, aspettando il ritorno glorioso del Maestro, ognuno scopre di essere amato e di avere un progetto (grande) da realizzare. Che sia un premio Nobel o una colf poco importa, ognuno ha un destino da realizzare, una vocazione da vivere. In questa domenica tutta la Chiesa prega per le vocazioni: che ogni uomo scopra il suo ruolo e la sua chiamata a diventare santo cioè come Dio, amante come lui.
In questo progetto alcuni fratelli sono chiamati da Dio e dalla comunità a rendere presente il Cristo nel ministero della Parola (spiegare le Scritture) e nella celebrazione dell’Eucarestia e del Perdono. A esempio del Buon Pastore, con tutti i loro difetti e i loro limiti, diventano i pionieri di questo cammino verso il Regno. Vogliate bene ai vostri preti! Belli o brutti, simpatici o scontrosi, giovani o attempati! Chiedetegli ciò che di più prezioso hanno: Cristo. Per il resto, aiutateli a camminare nella serenità del Vangelo e, soprattutto, non giudicateli male perché il mistero di una chiamata al sacerdozio è quanto di più coinvolgente e totalizzante accada in una persona e non può mai essere banalizzato dalla nostra superficialità. Perché ogni prete, anche il più incoerente, almeno una volta ha detto di `sì` totalmente e passionalmente al Progetto di Dio su di lui e per questo è degno di grande rispetto. In questo cammino comunitario il prete è essenziale per quell’imposizione delle mani sul suo capo fatta dal Vescovo e che ci garantisce che i suoi gesti recano impressi il sigillo di Dio. Allora, questo significato più specifico della vocazione, una vocazione al ministero per i fratelli, deve suscitare nel nostro cuore almeno tre sentimenti: preghiera, perché non manchi mai la presenza della ministerialità nel sacerdozio sacramentale, simpatia e affetto verso il grande dono del sacerdozio nelle nostre comunità e invito a chi già non si è impegnato nella strada del matrimonio alla possibilità di diventare raccontatori di buone notizie, distributori a gratis di perdono e gioia, luogo in cui Dio pianta la sua tenda in mezzo al popolo che ama.

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