Per il Piemonte e la Valle d’Aosta
Solennità della Chiesa locale
Tra le altre: Is 56,1.6-7/1Pt 2,4-9/Gv 4,91-24
Noi, la Chiesa

Oggi le nostre comunità celebrano la Solennità della Chiesa locale.
Siamo abituati a pensare alla Chiesa come ad una organizzazione religiosa sparsa nel mondo, più o meno capitanata dal Vescovo di Roma. Ci sfugge, purtroppo, la realtà teologica complessiva della Chiesa, ampia ed articolata, bella e feconda.


L’annuncio del Vangelo
La missione di annunciare il Vangelo a tutte le genti è stata affidata dal maestro Gesù al gruppo dei Dodici apostoli, e il gruppo dei Dodici, nel proprio insieme, si è preso la briga di costruire comunità là dove vivevano. Come raccontato da Luca negli Atti, una volta annunciato il Vangelo e costituita una comunità di fratelli, ad uno di loro, il presbitero, l’episcopo, era affidata la custodia della fede della neonata comunità. Questo era il primo embrione della Chiesa come oggi la conosciamo: un gruppo di discepoli radunati intorno alla Parola e all’Eucarestia e suddivisa in ministeri, cioè in compiti a servizio della comunione, tra cui quello della custodia, affidata ad un pastore.
Oggi questa realtà è complessa: migliaia di comunità cristiane sono sparse nel mondo, radunate intorno ad un Vescovo, successore degli apostoli. La comunione tra le comunità e la certezza di condividere la stessa fede sono garantite dalla comunione col successore di Pietro, Vescovo di Roma. Intorno al medioevo, l’espansione del cristianesimo in occidente spinse i Vescovi ad operare delle scelte di presenza sul territorio: nacquero le Parrocchie, presiedute da presbiteri mandati a rappresentare il Vescovo.


Diversità e comunione
Con la festa di oggi, quindi, celebriamo due realtà: la prima è la realtà della Chiesa nel suo farsi locale, nel suo divenire storico.
Troppi cristiani, ancora, non avvertono l’importanza dell’appartenere ad una comunità diocesana, radunata intorno ad un Vescovo. Là dove c’è una comunità, la Parola e un Vescovo in comunione con le altre Chiese, là ho la possibilità di vivere interamente l’esperienza di Chiesa. Non ho bisogno di andare alla Mecca per essere fedele d.o.c., qui e ora posso sperimentare interamente la bellezza della Chiesa. Di più: la diversità è essenziale alla Chiesa, spesso descritta come un monolite senza crepe. No: io sono fiero di appartenere alla Chiesa di Aosta, ne conosco la storia, ne amo i santi, ne conservo le tradizioni. L’incontro tra cristiani è sempre incontro tra sensibilità e stili di vita differenti. Guai a dimenticarselo!
Il secondo aspetto riguarda la memoria grata di chi, perso nei meandri della storia, per primo ha portato il Vangelo nella nostra terra. Così come possiamo fare memoria e dire una preghiera per chi per primo ha annunciato a me la Parola. Il Vangelo si trasmette per contagio, non c’è altra possibilità. Questa catena che dal Cristo è arrivata a me, devo e posso continuare fino al raggiungimento del Regno alla fine dei tempi.


Il modo povero di dire il Vangelo
Quasi sempre, però, il modo concreto che abbiamo di vivere la comunità è la Parrocchia. La partecipazione alla Messa, la catechesi, i funerali, la vita quotidiana, ci portano a vivere il Vangelo in quella porzione in cui abito.
E’ in crisi la Parrocchia, lo sappiamo. La società è radicalmente cambiata, i riferimenti culturali evoluti (o involuti?) verso il privato non danno spazio ad una appartenenza comunitaria.
Numerose Parrocchie devono fare i conti con i problemi della scarsità di preti, o con l’evoluzione della struttura sociale (pensate ai paesini diventati periferia di città, passando da poche centinaia di abitanti a migliaia!). Insomma: una fatica immensa.
La Parrocchia `deve` garantire quel minimo di servizi che tutti associano alla presenza della Chiesa (catechismi e Sacramenti), investendo le poche energie a mantenere una elefantiaca struttura, e a soffrirne è proprio la comunità.
Paradossalmente, drammaticamente, può esistere una Parrocchia senza comunità. La Parrocchia si riduce, così, ad una inefficiente agenzia di servizi religiosi, senza personale stipendiato e senza entusiasmo…
Perciò in questi ultimi decenni sono sorte esperienze nuove: movimenti, associazioni, gruppi, che cercano di supplire alla mancanza di rapporti personali che spesso caratterizza la grande Parrocchia.
Permettetemi, da parroco, di spezzare una lancia a favore di quel modo povero di dire il Vangelo che è la Parrocchia. Come la fontana del villaggio (immagine del compianto Papa Giovanni), chiunque può accedervi, senza selezioni, senza particolari qualità. La Parrocchia diventa il gradino più basso della scala verso la conoscenza del Vangelo, la soglia che unisce il Regno al mondo, portatrice di tutte le contraddizioni e le povertà del mondo, portatrice della novità del Vangelo.
Amiamo la Parrocchia, tiriamoci su le maniche per creare veri luoghi di interiorità e di dialogo all’interno della struttura, cambiamola dal di dentro, fecondandola con la nostra preghiera e la nostra disponibilità. Una piccola comunità orante a servizio dei tanti che passano nelle nostre Chiese, tutti accesi da un barlume di fede che possiamo e dobbiamo far divampare come un fuoco.
Utopia?
Gesù è partito da meno…


Per il resto d’Italia
Trentatreesima domenica del Tempo ordinario C
Mal 3,19-20a/2Ts 3,7-12/Lc 21,5.19
Non vi terrorizzate


Nella sezione apocalittica dei Vangeli, in questo caso del Vangelo di Luca, troviamo un riferimento inquietante alla storia. Luca, avete sentito, parla di eventi catastrofici, legati probabilmente all’assedio di Gerusalemme e alla distruzione del Tempio avvenuta nel 70dC ad opera dell’esercito romano, infastidito dall’ennesima rivolta degli ebrei, e certamente vissuta come un dramma dalle prime comunità cristiane cui Luca si rivolge.
Il tono, però, è rassicurante: Gesù dice che no, non è il caso di spaventarsi; malgrado gli eventi catastrofici, malgrado la paura, i discepoli sono chiamati a leggere nelle catastrofi l’opportunità di rendere testimonianza, di svelare un modo altro di vivere la storia.
Tasto dolentissimo, questo, l’impressione (che spero errata) che ho nel vedere il nostro atteggiamento nei confronti della storia è non solo un’inquietante uniformità alla logica mondana ma, spesso, un giudizio ancora più pessimista degli eventi.
Succede che il cristianesimo abbia giudicato con pessimismo l’uomo e la storia, come una massa di eventi e di persone incapaci di riconoscere l’opera di Dio e di convertirsi e, perciò, destinati al fallimento. Non di rado, poi, questa visione negativa della storia ha prodotto uno scollamento tra la vita e la fede, disinteressandosi del presente, tutti concentrati sull’al di là.
Gesù dice diversamente: la storia è il luogo in cui Dio realizza il suo progetto, è – perciò – luogo benedetto e da salvare. Il discepolo sa che la storia va letta in una prospettiva di fede, di pienezza che trascende le nostre fatiche e le nostre delusioni, e vuole comunque portare il seme della novità del Vangelo nel proprio vissuto.
Non ci terrorizziamo, allora, quando vediamo eventi catastrofici, la violenza dilagante, ma costruiamo spazi di Regno là dove viviamo…

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