Ci si arriva uscendo da Gerusalemme, scendendo nell’avvallamento del Cedron per poi risalire sulla collina, attraverso i polverosi sentieri che solcano i poderi coltivati del Monte degli Ulivi.
Tre chilometri che Gesù percorre spesso per incontrare Lazzaro, Marta e Maria.
Betania, per chi ama Cristo, è un nome fortemente evocativo.
A Betania, dai suoi tre amici, Gesù si rifugiava quando, col cuore gonfio di tensione e d’incomprensione, lasciava la Gerusalemme che uccide i profeti per trovare un angolo di serenità. Betania svela il volto di un Dio che sente il bisogno di essere amato, che si disseta della fede della Samaritana, cercatrice di Dio. Betania è l’icona dell’amicizia tra Dio e l’uomo, Betania è il segno di un approccio diverso, nuovo, al volto di Dio.
E, proprio su Betania, si abbatte la tragedia: Lazzaro si ammala gravemente. Qualcuno si prende la briga di avvisare Gesù, di dirgli: “Il tuo amico è malato”.
Gesù ora lo sa, ma non fa nulla, e Lazzaro muore.
Che mistero l’apparente silenzio di Dio.
Che assordante silenzio, quello di Dio.
Gesù non guarisce Lazzaro, ma scende a vedere, si fa presente.

Marta e Maria
Il tumulto è grande, c’è molta gente intorno a Marta e Maria, le nostre amiche sono conosciute e stimate. Sapendo che arriva il Maestro, finalmente, Marta prima e poi Maria, escono di casa e gli vanno incontro: cercano una Parola, un gesto, uno sguardo.
Lazzaro è morto, Gesù era lontano.
Succede anche nelle nostre povere vite: qualcuno muore, e Gesù è lontano.
Qualcosa muore (la fede, la speranza, la fiducia) e Gesù è lontano.
Le sorelle non disperano. Amano.
Non capiscono, non urlano, non inveiscono, né piegano la testa in una rassegnata disperazione. Attendono, fiduciose. Lazzaro è morto, il loro amato fratello è morto.
Ma ora l’amico è qui.
Marta e Maria piangono, la folla lo spinge a vedere, Dio viene accompagnato a vedere quanta disperazione suscita la morte, quanto dolore suscita il dolore.

Il Dio discepolo
Giovanni non teme di annotare il profondo dolore di Gesù, che è scosso nel profondo.
Gesù vede la disperazione di Maria e il dolore dei giudei e ne è turbato.
Gesù chiede di vedere Lazzaro e la risposta è: “Vieni e vedi”.
“Vieni e vedi”. È la stessa frase che egli aveva rivolto, tre anni prima, ai suoi primi due discepoli, Giovanni e Andrea, che gli avevano chiesto dove abitasse: “Venite e vedrete” (Gv 1,39). I discepoli (e noi) erano invitati a mettersi in gioco, a partecipare: la fede è un “andare a vedere”, un’esperienza di fuoco.
Ora è Gesù che si fa discepolo. Ora è lui che è chiamato ad andare a vedere.
A vedere quanto dolore suscita il dolore.
A vedere nel volto dei suoi amici più cari la disperazione che suscita in noi la morte.
E Dio piange.
È come se Gesù, fino ad allora, non avesse ancora visto la casa del dolore, come se solo in quel momento Gesù prendesse consapevolezza della devastazione della morte.
Certo: Gesù aveva incontrato ammalati e aveva anche risuscitato dei morti, come la figlia di Giairo o il figlio unico della madre vedova. Ma erano degli sconosciuti.
Qui, ora, per la prima volta Dio vede il dolore che il dolore suscita nel cuore di persone che egli ama.
Dio impara il dolore, diventa discepolo. Divenendo uomo, lui che è l’assoluta perfezione, l’immensa totalità, impara la fragilità.

Questo Dio?
Dio piange, amici.
Davanti a quel pianto possiamo, come la folla, lamentarci del fatto che, invece di piangere, poteva fare qualcosa prima. O restare stupiti di tanto amore.
Il cristianesimo, di fronte al dolore, si pone, impotente, davanti a questa sconcertante notizia: Dio condivide il dolore e, assumendolo, lo redime. Non lo evita, né per sé, né per noi.
Non so
Non so se preferisco un Dio che condivide il dolore con me o un Dio che mi eviti la sofferenza.
Come uno dei due ladri appesi alla croce, sento dentro di me la lacerazione di volere, da chi può tutto, che mi tolga dalla croce. 
Oppure, come l’altro ladro, non so se stupirmi di un Dio che soffre esattamente come me (Lc 23,39-43).

Non lo so
Forse, realisticamente, preferirei un Dio assoluto e onnipotente, che mi eviti la sofferenza, piuttosto che un Dio che muore per amore.
Davanti a questo dolore inatteso, Gesù, l’amico, prende una decisione: darà la sua vita perché Lazzaro torni alle sue amate sorelle.

Una vita per la vita
Giovanni pone quest’episodio appena prima dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme.
Questo miracolo eclatante sarà la goccia che farà traboccare il vaso, la valanga che si distacca e tutto travolge, portandolo a morire. La tensione è alle stelle, i suoi nemici si aspettano un solo microscopico passo falso per denunciarlo.
Gesù lo sa (Tommaso glielo ha detto: andremo a morire!) e accetta lo scambio.
Lo stesso scambio che, da lì a qualche giorno, farà dall’altare della croce per ciascuno di noi.
Ora che Dio conosce il dolore che la morte suscita nei cuori di chi si ama, decide di donare la sua vita.

Vieni fuori
Anche a me, l’amico, Gesù grida: "Lazzaro, vieni fuori!". Vieni fuori dalla tua tomba, dalle tue tenebre, dalle tue piccole sicurezze, vieni fuori dai tuoi pregiudizi, dai tuoi schemi, dai tuoi egoismi. Vieni fuori, fratello che leggi, veniamo fuori dalle nostre oscurità, lasciamoci rivivere.
Vieni fuori da tutto ciò che di freddo e di buio abita in te.
Crediamo, finalmente, lasciamoci raggiungere, infine.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *