1. Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 22-33

    In quel tempo. Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio «una coppia di tortore o due giovani colombi», come prescrive la legge del Signore.

    Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

    «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli: / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele».

    Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.

Non sono molti coloro che accolgono Dio: Maria, il suo amato sposo, i pastori, i magi… E un personaggio sconosciuto ai più: Simeone. Simeone è anziano e sconfortato, ha vissuto a Gerusalemme e ha visto ricostruire il tempio, innalzare le imponenti mura, decorarne gli esterni, e lo ha visto poi riempirsi di pellegrini. Un tempio tornato al suo antico splendore, con la classe sacerdotale e la rinascita di una città che, però, non è stata accompagnata in ugual misura dalla crescita della fede. È sconfortato, Simeone, come spesso sono le persone anziane un po’ deluse dalla vita. Eppure sale al tempio, ancora una volta, ha fiducia, aspetta ancora, nonostante la sua età avanzata. E fa bene. Li vede. Quanti li hanno incrociati? Una coppia di paesani, smarriti nei grandi corridoi del tempio brulicante di gente: la madre stringe un neonato avvolto in un manto, lo sposo porta due colombe da offrire in sacrificio, l’offerta dei poveri. Molti li guardano, uno solo li vede, Simeone. E capisce. Che folle, la logica di Dio! Che folle! Sorride, ora, Simeone, mentre prende il bambino davanti ai due genitori smarriti. Ecco la luce. Non il tempio, non i cruenti sacrifici, ecco la luce. 

Simeone è il simbolo della fedeltà del popolo di Israele che aspetta con fiducia la venuta del Messia; la costanza e la perseveranza di molte persone anziane che nella loro semplice fede ancora frequentano le nostre comunità investite dai radicali cambiamenti della nostra contemporaneità; ma – nello stesso tempo – Simeone è il simbolo dell’uomo che aspetta perché la vita è desiderio, la vita è cammino, la vita è attesa. Attesa di luce, di salvezza, di un qualche senso che sbrogli la matassa delle nostre inquietudini e dei nostri “perché”.

Quante volte incontro persone che si lamentano del fatto di non aver potuto tenere in mano il loro destino, di aver dovuto rincorrere una vita non scelta, di avere fatto dei progetti che gli si sono sbriciolati in mano. A loro, a me, Simeone insegna a perseverare, ad affidarsi, a capire che la vita vera è oltre, è altrove, è diversa dai risultati che riusciamo a conseguire, dai sogni che riusciamo a realizzare.

Bellissima la preghiera intensa di Simeone che finalmente vede l’atteso: ora è sazio, soddisfatto, ora ha capito, ora può andare, ora tutto torna. La vita è così, amici, bastano tre minuti per dare senso e luce a tutta una vita di sofferenze, tre minuti per dare luce ad una vita di attesa. L’importante è avere un cuore spalancato, capace, non rinchiuso dal dolore e dalla sofferenza, non asfaltato, non superficiale… Incontrare il Signore o intuirne la presenza, avere insomma fede, credere e sperare significa proprio mettersi in ascolto e attendere, anche tutta la vita se necessario.

Certo: duro è perseverare nell’attesa, eppure è una scommessa ardita che tutti siamo invitati a compiere perché la nostra intera vita diventi attesa di una risposta esaustiva e soddisfacente che – infine – colmi i cuori. Simeone ha visto la luce: la luce già c’era, già esisteva, già era manifesta, e lui la vede, lui se ne accorge. La fede è un evento di apertura, è un accorgersi, perché davanti al sole possiamo ostinatamente tenere gli occhi chiusi e dire: il sole non esiste.

Chiediamo al Signore di alleggerire il nostro cuore, di non permettere che la sofferenza o la superbia ci chiudano gli occhi al vero e al bene che risplende nelle pieghe del nostro martoriato e fragile tempo. A Maria Simeone profetizza sofferenza. Questa acerba adolescente che ha creduto nella follia di Dio si trova ora, per la prima volta, davanti alla misura della sua scelta: la misura dell’amore. Maria sa che accogliere Dio le costerà fatica, e tanta. Sa che ormai la sua vita è e resterà diversa. Eppure crede, vi aderisce, vi acconsente. Perché amare può voler dire, in certe occasioni, patire. Sia lei, oggi, a insegnarci a vivere l’amore fino alla fine, a imparare a donare tutto di noi, per tramutare il dono il concretezza, il sentimento il gesto, l’amore in dono.

Paolo Curtaz

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