Piove. È il quinto giorno consecutivo, bene per i vigneti di mio fratello e per la montagna, un po’ meno per i miei acciacchi da over quaranta. Spulcio le mail, tre volte al giorno, con disciplina. Leggo, rispondo (sempre brevemente), mi fermo a pregare per alcune situazioni tragiche di cui vengo a conoscenza.
Poi leggo la mail di Marco e Barbara. Alcuni di voi li conoscono, tutti gli altri no; ma Marco conosce voi: è dal suo ingegno informatico che è nato questo portale della Parola, è grazie alla sua tenacia (e alla pazienza della moglie), che tra il venerdì e il sabato sono spedite oltre tredicimila mail con la parola che riecheggia la Parola.
Mi scrivono una mail dalla Colombia, dove sono andati ad accogliere il loro secondogenito, Maicol, adottato come la piccola Angela.
C’è entusiasmo nelle loro parole. Rispondo brevemente, con le lacrime agli occhi.
Mi viene in mente il salmo: “Chi semina nel pianto raccoglie nella gioia”. Verissimo.
Loro, come molti, hanno allargato il loro cuore ad accogliere la vita di altri. Ma quanta attesa, quante docce fredde hanno sperimentato, quante delusioni hanno vissuto e quante speranze hanno dovuto abbandonare!
Non sono eroi e so che perdoneranno se li cito.

Terremoti
Mentre leggevo il vangelo di oggi mi è venuta in mente Barbara e la sua ultima chiacchierata con me, a Druento. C’era scoraggiamento nelle sue parole, una tempistica burocratica che piegherebbe anche il genitore più motivato aveva raffreddato il loro enstusiasmo. Si parlava di nuovo di anni di attesa, come per la prima adozione, di difficoltà insormontabili, di blocchi di adozioni.
Non sapevo che dire.
Poi mi sono guardato dentro e le ho detto: «Ci sono eventi nella vita, situazioni, in cui tutto è messo in discussione, anche la nostra fede, anche le nostre scelte che sappiamo autentiche e positive, anche il nostro desiderio di amare. Terremoti che radono al suolo tutto, che ci lasciano pieni di acciacchi. Proprio in quel momento scopriamo se veramente crediamo, se davvero abbiamo fede, se abbiamo costruito la casa sulla roccia della Parola. O sulla sabbia delle opinioni.
Fidati, affidati, non demordere, credi, spera, ama».
Il giorno dopo, con enorme stupore, hanno ricevuto la chiamata dalla Colombia.

Dove?
Dove poggiano le nostre convinzioni? Su cosa si fondano le nostre speranze? Chi o cosa muove la nostra vita, suscita le nostre attese?
Viviamo costretti dagli eventi, spesso, e non è vero che la vita è opportunità come malevolmente ci fa credere il nostro mondo. Molto più realisticamente, la vita che realizziamo è una concatenazione di eventi che non dipendono da noi, di fortune o di sfortune che possiamo accogliere o rifiutare. Per molti il lavoro che hanno è l’unico che hanno trovato, la città in cui vivono l’unica scelta che si possono permettere economicamente, la soluzione affettiva che vivono la migliore che sono riusciti ad ottenere.
E quando accade di scontrarsi con eventi dolorosi o con la cupa consapevolezza del limite, allora vengono a galla gli aspetti più intimi e profondi della vita, una specie di rarefazione e di nudità dell’essere che ci può anche stordire.
O far volare.
Gesù ha una proposta, semplice, destabilizzante, folle: fonda la tua vita sulle mie Parole, perché io sono la Parola che il Padre pronuncia sul mondo, ed è una Parola di bene, ed è una Parola di amore.
Ascoltare la Parola e metterla in pratica: come se fosse facile, Signore.

Tra coerenza e infedeltà
Eppure tu chiedi ai tuoi discepoli una continuità tra l’ascolto e la vita, tra la proclamazione del Vangelo e la quotidianità. Gesù non apprezza i fanfaroni, anche spirituali, non apprezza chi fa di se stesso, anche del proprio “sé” spirituale, il proprio idolo. Ciò che conta, secondo il Signore, è la sintonia fra il dire e il vivere, fra l’ascoltare e il cambiare i propri atteggiamenti. Senza fanatismi.
Il Maestro non è morto nel nome della coerenza e dobbiamo fuggire come il fuoco l’atteggiamento farisaico di chi pesa col bilancino i propri meriti, lo sappiamo. E lo sa e lo dice con veemenza un agguerrito san Paolo che si scaglia contro coloro che pensano di meritarsi il paradiso, di essere, se non migliori, almeno non peggiori degli altri. Ai professionisti del sacro di ieri e di oggi Paolo ricorda che Dio è gratis, come la salvezza.
Noi, al limite, possiamo scegliere di vivere da salvati.
Ma neppure dobbiamo cadere nell’atteggiamento opposto di chi entra in chiesa e poi maltratta i colleghi, di chi fa la catechista e poi spettegola e giudica, di chi presiede la comunità e si rifugia nel proprio piccolo, rassicurante mondo clericale di chi, insomma, tiene ben distanti la vita e la fede.
Costruire la propria vita interiore sulle proprie fragile (presunte) certezze spirituali significa esporsi ad un grave rischio. Quando la tempesta arriva, e arriva, tutti i nostri meriti svaniscono, le nostre devozioni si asciugano, le nostre convinzioni traballano.
Ciò che resta, dice il Signore, è ciò che abbiamo fondato sulla roccia della Parola.

Animo, discepoli, non lasciamo cadere una sola delle parole del Maestro, anche quando sono impegnative, anche quando ci sembrano irrealizzabili, anche quando ci giudicano, anche quando ci spronano.

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