È possibile abbandonare i sepolcri?
Riuscire, in qualche modo, a dare corpo alla speranza dell’annuncio di Gesù risorto?
Abbiamo appena celebrato i grandi giorni della Pasqua, una festa che si è prolungata per otto giorni. In questa giornata, nel passato, ad una settimana dalla grande notte, i neo-battezzati deponevano le vesti bianche ricevute per indicare la loro nuova dignità.
È la domenica in albis, in bianco.
Sembra una storia a lieto fine: il crocefisso è risorto, il dolore è superato, lui non è più prigioniero della morte.
Magnifico. Bel finale. Un applauso.
Il problema è che ci sono molte sorelle, molti fratelli, che hanno saputo dell’evento, che hanno udito l’annuncio, che sono stati raggiunti dalla grande novità. Ma che sono ancora nel dolore: la resurrezione, se c’è stata, non li ha raggiunti.
Gesù è risorto, certo. Buon per lui.
Non ditelo a Tommaso.

Sangue
La sera di Pasqua il maestro ha raggiunto i discepoli. Storditi, attoniti, lo hanno accolto, senza capire, ancora e ancora, cosa sia veramente successo. Ma è vivo, questo solo conta. Le donne avevano ragione. Sono pieni di gioia, i pavidi apostoli, la speranza si è riaccesa, come un turbine, come un’onda che sale lentamente. È vivo, questo è certo. Lo hanno visto, lo hanno riconosciuto.
Ma allora.
Allora ciò che egli ha detto ha uno spessore diverso.
Allora, chi è veramente Gesù?
Allora…
Tommaso è assente. Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti.
È gelida la risposta di Tommaso.
No, non crede.
Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene.
Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace.
Torna Gesù, apposta per lui.

Sofferenza
So che hai molto sofferto, Tommaso. Anch’io, guarda qui.
Gli mostra le mani, il risorto, trafitte dai chiodi.
Ora cede, Tommaso, il grande credente. Si getta in ginocchio, piange, come un bambino che ritrova i propri genitori. Piange e ride e, primo, professa la fede che sarà di tutti: Gesù è Signore e Dio.
Può il dolore avvicinarci a Dio?
Sì, se scopriamo che Dio lo condivide senza riserva.
Il risorto, ormai, lo riconosciamo solo attraverso dei segni: le bende, la voce, il pane spezzato, il segno della pesca. Ma anche le ferite del risorto, la partecipazione al dolore di Dio diventano segno.
Non ditelo a Giovanni Paolo.

Papi
L’ho conosciuto bene, Giovanni Paolo. Ha segnato una generazione con il suo modo innovativo di essere Papa, con la sua straordinaria presenza che radunava le folle, con il suo carisma mediatico che ha stupito più di uno scettico. Il Papa polacco venuto dall’oppressione nazista e sovietica, il papa dei grandi gesti, dei viaggi, il difensore degli ebrei. Un gigante.
Che ha voluto celebrare il solenne Giubileo del duemila come una grandiosa purificazione delle memoria ferita del cristianesimo.
Poi, ne sono certo, avrebbe voluto chiudere così la sua vita.
Ma il Signore lo aspettava per l’ultima, tragica testimonianza.
Il Parkinson se lo è mangiato pezzo dopo pezzo, facendo del vigoroso e atletico pontefice un povero vecchio, portandogli via il movimento, la parola, tutto, mentre chi lo aveva applaudito iniziava una nuova guerra.
E quel vecchio tenace è diventato icona di speranza, senza saperlo.
Profezia di un altrove che, nel mondo dell’immagine, dell’efficienza, del giovanilismo, ha scosso tutti.
Oggi la Chiesa lo proclama beato.

Misericordia
Lui ha voluto fare di questa domenica la festa della misericordia.
Il risorto ci viene incontro colmando il nostro cuore di benedizione, di tenerezza, di gioia.
Animo, fratelli ancora nell’ombra: Tommaso è il patrono dei ritardatari.
Animo, fratelli segnati dalla malattia, Dio può fare di voi un capolavoro, come con papa Giovanni Paolo.
Animo, fratelli scoraggiati, la misericordia ci salva.

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