Diventare discepoli del Dio di Gesù è un impegno che dura tutta la vita, che richiede molta energia e molta verità con noi stessi.
La posta in gioco è alta: il senso stesso della vita, scoprire la ragione del nostro esistere e il disegno nascosto dietro gli eventi della Storia.
Gesù non è un Rabbì bramoso di discepoli, né abbassa il tiro per raccogliere la folla, né cede a compromessi per suscitare consensi: diversamente dai guru di ieri e di oggi non desidera essere famoso, né di avere folle plaudenti. Egli vuole solo annunciare il Regno, mostrare lo splendido e inatteso volto del Padre.
Contrariamente a quanto avveniva con i rabbini del suo tempo, Gesù non si fa scegliere, ma sceglie i discepoli e pone loro condizioni tutt’altro che scontate…
 
Un Maestro risoluto
Le condizioni per diventare discepoli di Gesù sono motivate dal livello della sfida: egli vuole discepoli disposti a mettersi in gioco totalmente, non soltanto nel momento mistico della vita.
La pagina di oggi è introdotta dal fatto che Gesù “risolutamente” s’incammina verso Gerusalemme, luogo dove l’annuncio del Vangelo verrà messo alla prova. Gesù indurisce il volto, assume pienamente la sfida: si incammina senza indugio verso la città che uccide i profeti, che massacra ogni opinione, che annienta ogni novità creduta pericolosa.
Gesù è disposto a morire per raccontare il vero volto di Dio.
Dai suoi discepoli pretende la stessa convinzione.
 
Attenti ai mistici
Una convinzione che non può mai diventare violenza, anche solo verbale, anche per una buona causa. La sconfortante figuraccia di Giovanni il mistico ammonisce i fratelli che, nel percorso di fede, hanno avuto la gioia di sperimentare la dolcezza della preghiera e della meditazione, del silenzio e della contemplazione, raggiungendo vette spirituali non abituali.
L’avere ricevuto enormi grazie non ci mette al riparo da clamorosi errori, tanto peggiori quanto motivati da presunte rivelazioni interiori.
Il discepolo è un amante della pace, un pacifista pacificato, uno che sa che la scelta del Vangelo è – appunto – una scelta, uno che sa valutare il fallimento del proprio annuncio nella paziente logica del Vangelo.
Non basta una bella esperienza di fede per avere un cuore convertito, né un’intensa vita di preghiera per non cadere nel rischio di fanatismo e di intolleranza.
Quante volte misuriamo la nostra pastorale dai risultati, convinti – in teoria – che ciò che a noi è chiesto è solo di seminare, depressi, in realtà, se non vediamo dei frutti.
Animo, confratelli, se il vostro sforzo non è apprezzato e capito.
Coraggio, educatori e catechisti, se il vostro servizio umile e fedele non è valorizzato.
La logica del Regno ci fa credere che Dio solo suscita la fede. Il discepolo dimora nella pace, perché sa che è il Maestro che annuncia e conosce, e noi a corrergli dietro…
 
Altri errori
Il discepolo che segue colui che non ha dove posare il capo, non cerca Dio per placare la propria insicurezza. Tanti, troppi cristiani, hanno un rapporto con Dio intimista e rassicurante, si rivolgono a Dio per avere certezze, fanno della propria fede una cuccia, un nido, sono spaventati dal “mondo”, che vedono sempre come un luogo pieno di pericoli, non escono dalla propria parrocchia, dal proprio movimento, perché intimoriti da una logica anti-evangelica che non riescono ad accogliere con serenità e criticità. Il Maestro Gesù, invece, non ha dove posare il capo, non ha un comodo nido in cui nascondere i propri discepoli.
Il discepolo che segue il Signore della vita, colui che è più di ogni affetto, più di ogni relazione, più di ogni emozione, chiede di ridimensionare anche i rapporti famigliari, nella logica del Vangelo, sapendo che anche l’amore più assoluto, più intenso è sempre e solo penultimo rispetto alla totalità assoluta di Dio.
Perciò il discepolo di Gesù abbandona i sentimenti mortiferi, le relazioni all’apparenza splendide ma che, a volte, nascondono ambiguità e schiavitù.
Il discepolo vive l’amore, ogni amore, i rapporti, ogni rapporto, come un riflesso adulto e maturo dell’amore che Dio riversa nel proprio cuore, sapendo che anche i rapporti famigliari rischiano di diventare mortiferi, se cadono nella trappola del ruolo senza nutrirsi dell’autenticità e del rispetto. Non basta avere generato un bambino per essere padre, non basta allattare un neonato per essere madre. Gesù sa che i rapporti di discepolato, talora, sono più intensi e veri degli stanchi rapporti famigliari. E ci invita a lasciare i morti seppellire i morti e a giocare la nostra vita nella totalità del dono di sé.
Il discepolo che segue Gesù, sempre proteso al futuro, non resta inchiodato al proprio passato, non resta tassellato alle proprie abitudini, non si nasconde dietro il “si è sempre fatto così”, guarda avanti, punta la fine del campo, è più attento a tenere in profondità l’aratro, che a verificare ciò che ha fatto, voltandosi indietro. Troppe volte le nostre comunità sono più preoccupate a conservare, che a far vivere il Vangelo. Troppe volte la logica soggiacente alle nostre scelte di Chiesa è quella della tutela di un privilegio, del mantenimento disperato di uno status quo che, però ci allontana dal Maestro.
 
Urca
Inquietante, vero?
Ogni volta che leggo questo Vangelo non so se abbandonare il cattolicesimo…
E mi interrogo, mi chiedo se – sul serio, per davvero – io voglio vivere con questo Maestro.
Ma Gesù non ci dice queste cose per scoraggiarci, tutt’altro.
Vuole verità, autenticità, persone disposte a mettersi a nudo di fronte all’assoluto di Dio.
È così esigente perché vuole uomini e donne autentici, non animali impauriti da sacrestia o evangelizzatori fanatici. Uomini e donne riempiti dalla gioia della ricerca, dal fascino del Rabbì, che mettono le proprie energie a servizio del Regno.
Lo seguiremo?

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