Che strana festa il Corpus Domini… Un momento in cui facciamo il punto della nostra fede, confrontiamo le nostre piccole comunità e le nostre piccole eucarestie al grande sogno di Dio. Già: la Messa. Che ne abbiamo fatto? Serve quasi a identificare il cristiano "buono", come se quell’andare a Messa fosse, in fondo in fondo l’unica cosa che caratterizza la nostra fede. O, ancora, i molti, troppi amici che si definiscono "credenti e non praticanti", come se qualcuno potesse dire "sono innamorato non praticante della mia ragazza …". Quanti pensieri! Quanta amarezza sulle labbra. Sì, amici, dobbiamo percuoterci il petto, sinceramente una volta tanto, abbiamo gettato le perle ai porci, abbiamo strappato la tunica, abbiamo banalizzato l’immenso dono di Dio: la sua presenza. La festa di oggi è lì a ricordarci che Gesù ha scelto di stare in mezzo a noi in maniera concreta, visibile, tangibile. Là dove una comunità si raduna e prega insieme al proprio pastore, per la potenza dello Spirito il Signore si fa cibo. Che ci crediamo o no, che lo vogliamo o no, ancora il Signore si dona, si offre, si fa pane spezzato per la nostra vita. Più della manna nel deserto, più del pane moltiplicato a Cafarnao, Gesù ci ripete che la sua carne è vero cibo e il suo sangue vera bevanda. Il dono inaudito della presenza di Dio, la possibilità concreta, reale, di "nutrirci" di Dio, di essere assimilati a Lui ("Chi mangia di me vivrà per me!"), dimora troppo spesso ignorato nelle nostre comunità. Allora permettetemi di guardarmi intorno e dentro e di dire alcune cose che abitano il mio cuore. Vedete: il problema non è che la Messa è troppo lunga o i canti inadatti, anche se, è bene ricordarlo, dovremmo dare il massimo perché le nostre liturgie siano belle e vivaci. Credo che il problema vero sia la nostra poca fede. Non importa se la predica (spesse volte!) è lunga, o noiosa o lontana dalla mia vita. Il fatto è che noi veramente non crediamo che Dio venga e ci dia appuntamento Che fare? Crescere nella fede, anzitutto. Ogni volta che ci prepariamo a partecipare all’Eucarestia, attendere questo momento come l’inizio della settimana, la chiave di volta. Per fare questo dobbiamo ancora lavorare molto: nei paesi, dove troppo spesso la pressione sociale imbalsama il Vangelo (conosco gente che non fa la comunione troppo spesso perché sennò poi la gente pensa che sia bigotto!), avendo il coraggio di mettere Cristo al centro. Nelle nostre città, dove l’assemblea è spesso anonima, avendo il coraggio di appartenere alla comunità, di sentirsi bene accolti, attesi, riconosciuti.E’ finito (grazie a Dio!) il tempo della presenza per non sfigurare davanti al prete. No: partecipare all’Eucarestia (ho detto: "partecipare" non "stare parcheggiati"), significa mettersi in gioco, in un atteggiamento di accoglienza e di fede. Certo allora le nostre comunità dovranno riappropriarsi della celebrazione: che la Messa parli di Dio! Nell’attenzione ai gesti, all’ambiente, alle parole, ai canti, ai segni, nel silenzio, nel desiderio della preghiera … tutto dovrebbe parlare di Dio. E per noi preti (mi ci metto in mezzo, non ho una gran vocazione a fare il grillo parlante!) l’esigenza di lasciarci cambiare dalla Parola, renderla comprensibile, piacevole. Parlare di Cristo prima delle esigenze morali, raccontare, noi che abbiamo avuto la gioia di seguirlo, del suo fascino e della sua pienezza, più che di sottolineare astratti concetti teologici. Abbiamo bisogno di riscoprire la freschezza e la gioia del ritrovarsi a celebrare la misericordia di Dio, a riempire la nostra bisaccia così che nessuno esca a mani vuote dalle nostre liturgie. Quel gesto di Gesù che – in obbedienza al Rabbì e al suo "Fate questo in memoria di me" – riproponiamo ogni domenica, è uno squarcio aperto nel petto di Dio, la possibilità di accostarci con verità e misura alla grande tenerezza del Signore. Riscopriamo questo immenso dono!

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