Facciamo fatica a capire chi siamo noi, cos’è la vita, come funziona il mondo: perché mai dovremmo sforzarci di capire anche chi è Dio (se c’è?).
Peggio: per quale sadica ragione dovremmo sforzarci di capire la stravagante idea della Chiesa di credere in un Dio che, pur essendo uno, è anche Trino?
Insomma, amici: penso che nella vita dobbiamo affrontare temi ben più seri che non seguire complicati ragionamenti teologici che usano parole usurate e incomprensibili come persona, generato e non creato, sostanza… siamo onesti: il rischio è davvero di farci travolgere da un’inutile e ridondante esercizio di retorica clericale.
Eppure.

Il Dio demoniaco
Mi sono convinto che tutti noi portiamo nel cuore un’immagine di Dio. Non sempre bella, sinceramente: un’idea spontanea, inconscia, culturale, legata alla nostra educazione e nutrita da qualche distratto ascolto di predica o di catechismo.
Insomma: Dio c’è, certo, ma è incomprensibile, lunatico, inaccessibile.
Ti ama, si dice, ma poi incontro Marta che tre giorni prima di sposarsi ha scoperto di avere un tumore in fase avanzata a trentasei anni.
È onnipotente, ma non difende il bambino venduto per prostituirsi.
C’è, opera, ovvio.
Ma non fa quasi mai il mio bene.
Meglio blandirlo Dio, non si sa mai.
Meglio trattarlo bene, sperando che non ti capiti una disgrazia.
L’idea di Dio che portiamo nel cuore, siamo onesti, è mediamente orribile.
Finchè.

Il Dio di Gesù
Finchè è arrivato un profeta potente in parole e opere, uno che non aveva studiato da prete, neanche tanto devoto, uno che – ormai adulto – si è messo a fare il Rabbì, un certo Gesù, falegname in Nazareth. Tre anni di vita intensi e folli, di segni e di passione, di fatica e di dono.
Tre anni di stupore crescente per le sue parole, per la sua autenticità, per il suo amore divorante come un fuoco. Tre anni di dono di sé e di predicazione.
Poi rabbì Jeoshua è morto, ettepareva. Finiscono tutti così gli illusi, no?
Da Gandhi a Pino Puglisi, chi contraddice il sistema, anche quello religioso, è spazzato via.
Ma alcuni dei suoi professano che egli è risorto, che non è morto, che è accessibile.
Che non soltanto ci ha parlato di Dio in maniera nuova e potente.
Egli era Dio stesso.
E ci ha raccontato qualcosa di folle.

Dio è/in festa
Gesù ci svela che Dio è Trinità, cioé comunione. Ci dice che se noi vediamo “da fuori” che Dio è unico, in realtà questa unità è frutto della comunione del Padre col Figlio nello Spirito Santo. Talmente uniti da essere uno, talmente orientati l’uno verso l’altro da essere totalmente uniti.
Dio non è solitudine, immutabile e asettica perfezione, ma è comunione, festa, famiglia, amore, tensione dell’uno verso l’altro.
Solo Gesù poteva farci accedere alla stanza interiore di Dio, solo Gesù poteva svelarci l’intima gioia, l’intimo tormento di Dio: la comunione. Una comunione piena, un dialogo talmente armonico, un dono di sé talmente realizzato, che noi, da fuori, vediamo un Dio unico.
Dio è Trinità, relazione, danza, festa, armonia, passione, dono, cuore.

E a me?
Se Dio è comunione, in lui siamo battezzati e a sua immagine siamo stati creati; questa comunione ci abita e a immagine di questa immagine siamo stati creati. La bella parabola della Genesi ci ricorda di come Dio si sia guardato allo specchio, sorridendo, per progettare l’uomo.
Ma, se questo è vero, le conseguenze sono enormi.
La solitudine ci é insopportabile perché inconcepibile in una logica di comunione, perché siamo creati a immagine della danza.
Se giochiamo la nostra vita da solitari non riusciremo mai a trovare la luce interiore perché ci allontaniamo dal progetto.
Sartre diceva: “L’enfer c’est les autres”, Gesù ci ribadisce: “Siate perfetti nell’unità”.
E se anche fare comunione è difficile, ci è indispensabile, vitale, e più puntiamo alla comunione e più realizziamo la nostra storia, più ci mettiamo alla scuola di comunione di Dio, più ci realizzeremo.
La Chiesa, va costruita a immagine della Trinità. La nostra comunità prende ispirazione da Dio-Trinità, guarda a lui per intessere rapporti, per rispettare le diversità, per superare le difficoltà. Guardando al nostro modo di essere, di relazionarci, di rispettarci, di essere autentici, chi ci sta intorno capirà chi è Dio e per noi l’idea di un Dio che è Trinità diventerà luce.
Questo è il Dio che Gesù è venuto a raccontare.
Volete ancora tenervi il vostro vecchio Dio?

Come avete potuto vedere sono finito sulle prime pagine dei giornali nazionali sull’onda del gossip, questa volta clericale. La notizia delle mie dimissioni da parroco, confermata con comunicato dalla Curia, era cosa già nota a tutti. Meno noto era il fatto che, in sintonia col Vescovo e dopo un lungo e schietto discernimento, io abbia concordato un anno sabbatico di riflessione e di approfondimento. Questa scelta attiene esclusivamente alla mia sfera privata di uomo e di prete e tutti i tentativi di dietrologia inerenti a questo fatto dovrebbero essere relegati a ciò che sono: pettegolezzi. Vorrei rasserenare le molte persone turbate dalla ridda di notizie uscite e che ringrazio per le tante manifestazioni di stima: sono prete, resto prete e desidero fare il prete. Ciò che è in discussione, per me, e ciò su cui voglio riflettere in questo anno è, semmai, il modo di esercitare il mio ministero in questa Chiesa che ho servito e che amo con lealtà e se questa Chiesa abbia bisogno di ciò che io sono in grado di essere e di dare. Per me non è in discussione il celibato ma come vivere – se possibile – la mia chiamata profonda senza abdicare alle mie responsabilità che, credimi, ho assunto con convinzione e fatica da sempre.Tutto il resto, lo ripeto, attiene alla sfera intimissima della coscienza che ogni essere umano dovrebbe rispettare e nel cammino interiore di ogni credente. Ringrazio – così leggo da alcune agenzie di stampa – coloro che sono stati invitati a pregare per me che – così pare – sto attraversando un difficile momento: la preghiera reciproca, quella che nasce dal cuore e approda alla verità, è un bel dono che i credenti si fanno. Vorrei, però, ribadire il fatto che sono sereno nelle mie convinzioni e nelle mie scelte e che la difficoltà – semmai – la sta creando questa insistente e perniciosa violazione della privacy, per me e per le persone che amo. Mi spiace che queste vicende possano aver fatto soffrire qualcuno e di questo mi scuso. Non mi dispiacerebbe, però, ricevere le scuse di chi, in questi anni, ha scordato – se uomo – la prudenza del giudizio e – se credente – il precetto della misericordia. Siano la misericordia e l’essenziale a condurmi per mano in quest’anno che, spero, diventi un anno di riflessione non solo per me. Concludo dicendo che è per me un bel obiettivo, alla fine del percorso di vita che il Signore mi darà da vivere, cercare di diventare più uomo e, spero, più discepolo del Signore che mi ostino ad amare. Non ci tengo, perciò, a diventare un caso giornalistico e ad essere considerato un traditore o un martire, perché non sono né l’uno, né l’altro.

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