Mi sono messo il libretto “Parola e preghiera” nello zaino e leggo le letture della prossima domenica.
Lo faccio con una lampada tascabile. I miei compagni di stanza cercano di riposare.
Da fuori giunge il rumore dell’acqua. Sono passate le undici di sera e il sonno non arriva.
Dopo cena ci siamo visti con Renzo, la nostra guida, e abbiamo preso la decisione di anticipare la partenza di due ore. Saliremo al Gran Paradiso partendo alle due e mezza del mattino, perché la temperatura è troppo elevata e nell’ultimo mese è caduto un metro di neve: con lo zero termico ai quattromila metri c’è il rischio, tardando il rientro, di trovarsi nei guai.
Sono due anni che non salgo. Ma è una promessa che avevo fatto alla montagna alla cui ombra ho fatto il parroco per dieci anni. Non so se ce la farò, l’ho messo in conto. Sono stanco e la salute vacilla. E sono un impiegato di concetto con qualche velleità da sportivo della domenica.
La montagna, come la vita, va affrontata con umiltà. L’importante non è la meta, ma il percorso fatto, e con chi. E come.
Proprio come nella fede.
Opposti
Non va di moda salire in montagna. Su venti cordate che domani saliranno siamo gli unici italiani. Scoraggiante, visto che il Granpa è l’unico quattromila tutto italiano, e il più accessibile d’Europa.
Salire richiede una logica diversa da quella del mondo.
Ripenso a quello che scrive Zaccaria.
Israele si è lasciata sedurre dalla logica del mondo, dal dominio, dalla forza militare, dagli accordi diplomatici, dai compromessi necessari.
Come facciamo tutti, per poter sopravvivere, per mantenere il nostro standard di vita, per trovare lavoro e conservarlo, per non essere sbranati. Non siamo dei forcaioli, per carità, ma a volte un certo desiderio di prendere le scorciatoie assale anche noi, di fronte al diverso, allo straniero, all’arrogante, la tentazione di dare qualche sonoro cazzotto ci viene.
Anche nella Chiesa, ahimè, a volte prevale la tentazione del compromesso, dell’applauso, della rivendicazione. Giusto, purchè non si scordi mai di chi siamo discepoli.
Di colui che entra in Gerusalemme a bordo di un asino, re da farsa, clown di Dio che ridicolizza i nostri deliri di potere (anche clericale).
Invece Zaccaria esorta Efraim, la tribù del sud, a non comprare i carri da guerra e Gerusalemme, capitale del regno di Giuda, a non imitare gli egizi acquistando i possenti cavalli, ma di accontentarsi dei ciuchini che bene si adattano alle colline aspre del territorio.
Il mondo grida ed esige grinta, forza, possenza, visibilità, arroganza.
Dio, invece, ci chiede pace del cuore, mitezza, perdono.
Ancora opposti
Saliamo.
Ho dormito solo un’ora e mezza. L’adrenalina e un tazzone di caffé mi danno la forza di seguire i miei compagni. Saliamo sulla morena, incontriamo la neve a solo mezz’ora dal rifugio. Il corpo si fa sentire, il piede che ho ferito ormai due mesi mi fa male, speriamo bene.
Ci sono persone che vivono tutte travolte dai desideri della carne, come li chiama san Paolo.
Basta guardarsi intorno per capire, senza cedere alla consueta retorica cattolica dell’edonismo, vedendo il peccato ovunque. Un dato di fatto c’è: oggi siamo troppo attenti alla corporeità, alla fisicità.
Un’inchiesta recente rivela che in Germania il numero degli abbonati ad una palestra hanno superato il numero di coloro che dicono di partecipare alla messa o al culto evangelico ogni domenica.
Buffo semplificare, e pericoloso.
Certo è che la sensazione di un’eccessiva ed ossessiva attenzione al “fuori” a scapito del “dentro”, si percepisce.
Curiamo il nostro corpo e la nostra salute, certo. Ma anche il nostro spirito.
Sogno un’etica dell’estetica, una spiritualità dell’attenzione alla corporeità.
Il mondo mette ai margini chi non è splendido ed efficiente, chi non possiede, chi non appare.
Dio, invece, ci chiede di accorgerci che le opere carnali sono destinate al fallimento.
E che solo lo spirito, l’interiorità, il dentro ci fanno vivere. E fiorire in una bellezza globale.
Insopportabili opposti
Ci siamo fermati per legarci. Imbrago, corda, moschettone, ramponi. Il freddo della notte è pungente, il ghiacciaio fa sentire il suo abbraccio di gelo. Siamo ospiti, la montagna ce lo ricorda ed esige rispetto. Mentre i miei compagni si legano, prego.
Il silenzio è assordante, la notte ancora fitta.
Qui tutto è essenziale, tutto è riportato nella sua giusta dimensione. Salire è una specie di ritiro spirituale intenso, per chi vuole ascoltare.
E ascolta chi è piccolo, chi è fragile, chi è spalancato allo stupore.
Gesù stesso è turbato da questa scoperta. Tra i suoi discepoli sono i poveracci a prevalere.
I notabili, i religiosi e i devoti, i ricchi, a parte qualche eccezione, tentennano, dubitano, avvitano il proprio pensiero su loro stessi. Deprimente.
Gesù esulta: nel mondo prevale, allora come oggi, la logica del potente.
Dio, invece, preferisce gli sfortunati e i perdenti.
E dei perdenti ne fa discepoli. Dei deboli i proprio testimoni, dei balbuzienti i propri proclamatori.
Buffo Dio. Sapeste quanto lo amo. Sapeste quanto mi ama.
Prendo volentieri il suo giogo sopra di me.
Non ho trovato nulla di più bello, di più vero, di più luminoso.
Lo so, crederci sul serio è folle.
Vivere incentrati sulla mitezza è folle.
Vivere nel rispetto profondo del corpo, nella sintonia con lo spirito è fuori moda.
Scegliere il profilo basso è perdente.
Pazienza, continuerò a correre il rischio di credere nel Dio più pazzo che esiste.
Seguirò le poche tracce di luce che ho scoperto davanti a me.
Camminiamo sul ghiacciaio da due ore.
A un quarto d’ora da noi la cordata dei francesi. Dietro, a venti minuti, due cordate di belgi. Ci facciamo coraggio a vicenda, senza saperlo. Vedendo quelli più avanti intuiamo, nella notte, la pendenza. Lo stesso fanno quelli dietro di noi.
Ci fermiamo per tirare il fiato che comincia a mancare, superati i 3500 metri. Alle spalle l’aurora illumina una porzione di cielo, si vede il profilo del Monte Bianco ad Ovest. Mancano ancora due ore e mezza alla vetta, tantissimo.
Ma la strada la conosco, si tratta solo di camminare.