È forte, il discorso della montagna.
A prenderlo sul serio, rischiamo la conversione del cuore.
Le beatitudini, prima, poi il lungo discorso in cui Gesù riporta all’origine le tanti prescrizioni che gli uomini avevano aggiunto alla Legge di Dio. Secoli di aggiunte, di sottigliezze, di divieti, di minuzie.
Oltre seicento erano diventati i precetti, una selva che impediva a chiunque di sentirsi a proprio agio, con il conseguente allontanamento della gente semplice da Dio, riservato ormai solo agli ultras della fede, ai devoti oltre ogni misura.
Gesù, invece, ricorda a tutti che la perfezione di Dio consiste nella misericordia, non nell’osservanza scrupolosa di ogni regola, foss’anche religiosa.
E oggi, nella domenica di Carnevale, la Parola ci invita, prima di togliere le maschere ed iniziare il percorso quaresimale, a riflettere sul nostro modo di credere.

Vicina
È una Parola vicina, quella che Dio propone, una Parola da ricordare spesso, come suggerisce la prima lettura, da tenere sempre fra gli occhi e nel cuore; una Parola data perché diventi benedizione, non ostacolo, perché faccia crescere, non stagnare. Dio non è un preside inacidito che impone l’osservanza di regole impossibili, ma un padre che sa come funziona la vita e condivide con noi la sua esperienza.
Il peccato è male perché ci fa del male, perché ci distrugge, perché ci allontana dalla nostra natura profonda, non perché così Dio ha deciso…
Certo: la logica di Dio, ripresa da Gesù, è destabilizzante, inquieta, interroga.
Come possiamo dire di avere osservato tutte le leggi del Signore? Di essere “a posto”? Come possiamo elencare tutte le nostre pie opere davanti alla richiesta dell’imitazione di Dio, non nella sua impeccabilità, ma nella sua misericordia?
Oggi la Parola ancora ci scava, ci provoca.
Attenti a non indossare la maschera del pio devoto.

Mascherine
Maschera da indossare per farci vedere (umilmente) belli davanti a Dio.
Gesù è severo: non basta fare l’elenco delle nostre sante frequentazioni, non basta ricordare a Dio tutte le noiosissime celebrazioni che abbiamo dovuto sopportare con cristiana rassegnazione: nessun taccuino annotato ci permetterà di incontrare il Figlio di Dio, al termine dei nostri giorni…
Paolo è tranciante: è la fede che salva, non le opere.
Qualche anno dopo, Giacomo equilibrerà l’affermazione troppo forte: la fede senza le opere è inutile.
Ecco ciò che il Signore chiede al discepolo: ascoltare la Parola e metterla in pratica. Non sono sufficienti le opere (anche buone!) per incontrare Dio: senza la fede non ci fanno incontrare Dio.
Non è autentica una fede che non diventa quotidianità.
Bella storia.

Alluvioni
Non basta conoscere la Parola di Dio.
E neppure praticare una preghiera intensa e quotidiana.
Non basta avere fatto esperienza di Dio in un ritiro o un pellegrinaggio.
Non basta neppure essere stati chiamati da Dio ad annunciare la Parola, investiti direttamente da lui. Non basta tutto questo perché la casa della nostra fede non crolli alla prima tempesta.
Non basta l’ascolto, dice il Signore, ci vuole la credibilità, la coerenza, la vita concreta, i fatti. Siamo pieni di cristiani che si mettono in mostra davanti a Dio e lo smentiscono nel segreto della loro vita.
Il Signore chiede autenticità, verità, anche a costo di sanguinare, di sperimentare la propria oscena nudità interiore. Se, travolti dagli eventi della vita, abbiamo visto le nostre certezze crollare, e i dubbi radere al suolo la nostra presunta fede, forse è accaduto perché la nostra fede era costruita sulla sabbia delle nostre piccole convinzioni umane. Se il Signore ci ha chiamato ad essere suoi discepoli, e da anni camminiamo, con semplicità, sulla strada del Vangelo, non presumiamo delle nostre forze, ma ancoriamoci saldamente alla Parola che può ancorare la nostra vita alla roccia, senza temere le tempeste.

Gioiamo per questo Carnevale, allora, scherziamo e ridiamo nell’indossare i panni di qualcun altro.
Ma nella fede, per favore, togliamoci le maschere.
Niente belle mascherine, davanti a Dio.

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