Qui continua a nevicare, è quasi imbarazzante.
Mi scrive don Vale da Genova dicendo che anche dalle sue parti nevica: siamo in buona compagnia. Penso di avere visto neve a sufficienza, ora comincio a sperare nella primavera, se mai arriverà.
Inizio la settimana tappato in casa, dopo avere passato nuovamente un paio d’ore a palar neve. Non ho proprio bisogno di palestra… Stare in casa diventa una buona scusa per prendere in mano vecchi articoli da scrivere e libri da portare avanti.
Il fine settimana è stato intenso: ho visto parecchi amici che sfidano i lupi per venirmi a trovare.
Che bella, l’amicizia. Ancora di più se c’è Cristo in comune.

La parola di questa domenica è intensa e ricca, piena di sottigliezze che solo l’evangelista Marco ci riesce a regalare, attraverso tre percorsi di riflessione semplici e ricchi, a partire dalla delirante giornata “tipo” del Signore Gesù. (E io che mi lamento delle troppe cose da fare!).
Non so se lo sapete, ma il vangelo di Marco è stato, storicamente, molto sottovalutato: dai tempi di Agostino si pensava, erroneamente, che fosse una specie di sintesi del vangelo di Matteo. Solo a partire dalla metà dell’Ottocento ci si è accorti che Marco, in realtà, è il primo dei quattro vangeli, il più antico.
Domenica scorsa, ricordate?, Marco faceva iniziare il ministero di Gesù guardando all’interno della comunità: per riconoscere il Cristo, dobbiamo liberarci da una visione demoniaca della fede. Poi, Marco continua.

Guariti per servire.
La suocera di Pietro è a letto con la febbre. Niente a che fare con l’influenza, la febbre, a quell’epoca, poteva essere molto pericolosa, sintomo di una infezione o, peggio del tifo.
Gesù la guarisce, e la donna si mette a servizio del Maestro.
Pietro si ricorda benissimo quest’episodio: Marco, l’evangelista, è un suo discepolo e dietro le parole di Marco, spesso, si nasconde il pensiero di Pietro.
La giornata di Gesù inizia con una guarigione, e con la malattia continua.
La malattia è segno di una profonda ferita del corpo e dell’anima, di una stonatura nella grande opera di salvezza di Dio, di una discrepanza nella presunta armonia del cosmo.
Peggio: al tempo di Gesù molti pensavano che la malattia fosse una punizione divina, l’ammalato, quindi, era giudicato severamente, non compatito.
La breve ed intensa pagina di Giobbe sintetizza bene la disperazione di chi vive nel dolore fisico o psichico da tempo, una specie di annichilimento che, contrariamente a quanto erroneamente pensa la gente, non avvicina a Dio, ma ce ne allontana.
Gesù opera guarigioni per manifestare la presenza del Regno, non è un maghetto, né un santone.
Gesù sa che la salute è tanto, ma non tutto. Che più della salute c’è la salvezza.
Perché possiamo essere pieni di salute, ma tristi o malvagi.
Marco osa di più: la comunità dei discepoli è formata da persone liberate da ogni “demone” religioso, guarite nel profondo, che si mettono a servizio del Signore, proprio come fa la suocera di Pietro.
Marco dona del dolore una lettura nuova, profetica, sconcertante: il Signore Gesù ci salva dal dolore perché possiamo metterci gli uni al servizio degli altri. In un contesto di dolore e di fatica, spesso l’amicizia e l’affetto dei vicini diventano sorgente di speranza.
Il senso della nostra vita, come dicevo altrove, è quello di imparare ad amare: in questo neppure il dolore può annientarci.
Gesù porta su di sé il dolore del mondo, lo salva, lo redime, senza cancellarlo, anche Dio fa l’esperienza del dolore.

Il silenzio messianico
È una particolare che colpisce tutti, anche qui. Gesù libera gli ammalati dal demone del dolore e della solitudine. E, invece di far raccontare la guarigione ai quattro venti, che fa? Intima ai sanati, ai guariti, ai miracolati di tacere.
È il cosiddetto “segreto messianico” in Marco: Gesù non vuole troppa pubblicità intorno ai suoi miracoli.
Si coglie, in filigrana, la cocente delusione di Pietro che, dopo avere professato la messianicità di Cristo, si è trovato a rimangiarsi tutto di fronte alla Passione. Gesù non ama l’eccessiva popolarità perché sa che nasconde un’euforia ingannevole, Gesù preferisce il rapporto diretto, personale, schietto, che metta a nudo fatica e autenticità.
Così Paolo, anch’egli forgiato dalla passione di Cristo e per Cristo, si ritrova spinto, costretto ad annunciare il vangelo.
Il mondo ha urgente bisogno di annunciatori di vangelo.
Fragili, magari, poveri, ma veri.
Possiamo dire Cristo solo se abbiamo sperimentato, oltre la guarigione, il peso del nostro limite.
Che non limita Dio.

Il segreto di Gesù
Come riesce Gesù a vivere sereno in questo delirio?
La preghiera è il segreto di Gesù; è il prolungato e notturno colloquio col Padre che gli dona la forza di farsi carico di tutta la sofferenza che lo circonda, di affrontare le incomprensioni e le fatiche della sua vita apostolica. Anzi, più la situazione si ingarbuglia, più la sua fama cresce, più gli impegni si moltiplicano e più tempo Gesù dedica a questa preziosa attività.
Purtroppo, però (o per fortuna?) nulla sappiamo della sua segreta preghiera notturna, non un manuale, non un libretto di istruzioni. E allora naufraghiamo, un po’ smarriti, un po’ amareggiati. Intendiamoci, amici: chi ha una bella vita di preghiera smetta li leggere, non si turbi.
Ma chi, come me, fatica a pregare, si perde appena inizia a recitare una formula, abbia la pazienza di leggere.
La preghiera non è una lista di richieste a Dio, la preghiera non è uno sforzo che ci imponiamo al fine di dirci ancora discepoli, la preghiera non è necessariamente legata la desiderio e alle voglie… La preghiera, ci suggerisce Gesù, è un misterioso e intimo incontro con l’assoluto di Dio, è il silenzio che invade il cuore  e ci dona la capacità di leggere la nostra vita e la storia. All’inizio è difficile, certo: si ha l’impressione di parlare con un muro, ci si sente ridicoli.
Bisogna insistere, con umiltà, lasciare che la Parola di Dio faccia breccia nei nostri mille pensieri, riesca a perforare la scorza dell’abitudine e allora accade. Accade, amici, promesso. Accade che quel brano di Vangelo ascoltato mille volte canti nel tuo cuore e ti faccia sgorgare un fiume di lacrime. Accade di non avere parole per esprimere il tuo scoraggiamento e di recitare un salmo che ti affiora dal profondo della memoria.
Accade di udire la parola giusta al momento giusto, in una parola la preghiera diventa silenziosa presenza che riempie e motiva la vita.

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