Saluto molte persone, scambio due battute, ascolto.
Loro stanno arretrati, aspettano il loro turno. Hanno tra i cinquanta e i sessant’anni, la signora ha in mano un mio libro. Ora si avvicinano, lei legge una frase dal mio “Gesù zero”: Se proprio volete percorrere i ripidi sentieri della santità e potete scegliere, avvicinatevi al mistero di Dio attraverso la bellezza, non attraverso la sofferenza.

Mi raccontano la loro storia: hanno perso un figlio di venticinque anni da poco, in un tragico incidente di lavoro. La sofferenza li ha avvicinati alla fede, con forza e disperazione.
L’altro loro figlio, invece, si è definitivamente allontanato da Dio.
La madre è turbata e preoccupata per lui, mi chiede aiuto: come può avvicinarlo alla bellezza di Dio?
Guardo entrambi con tutto l’amore di cui sono capace.
Come posso portarli sul Tabor?
Penso alla terribile pagina della Genesi che ho letto stamani, per cominciare ad imbastire la riflessione sulla Parola. Altro che Tabor, questi amici stanno salendo sul monte Moria, come Abramo.

Deserti
Gesù deve affrontare le fiere e i propri fantasmi per decidere quale Messia diventare. Solidale con gli uomini, entra nel deserto, come Israele, per uscirne libero.
Anche Abramo entra in un deserto, ma con un ordine incomprensibile da parte del Dio che lo ha chiamato e gli ha promesso una discendenza senza confini. Dio gli chiede in sacrificio il figlio della promessa. Hanno un bel da dire gli esegeti che, probabilmente, quel racconto è stato redatto per affermare a gran voce che il Dio di Israele non vuole i sacrifici umani, pratica usata dai confinanti di Israele. Questa pagina resta terribile, folle, assurda. Il buon Kieerkegard, filosofo ottocentesco, vede in questo gesto l’assoluto della fede, e Abramo diventa il capostipite dei credenti. Mi piace di più la riflessione dei nostri amici ebrei che nel Talmud, dicono che Abramo, dopo il fattaccio, ha preso Dio da parte, dicendogli: «Vergognati, per ciò che mi hai chiesto di fare. E poiché io ho obbedito, ti chiedo di perdonare tutti i peccati dei miei discendenti fino alla venuta del Messia». Pare che Dio, abbassando lo sguardo, abbia accettato.
Tant’è: ci sono momenti e situazioni incomprensibili, insanabili, assurde, in cui il dolore, come quello straziante di perdere un figlio, sembra prevalere.
In quel momento, anche se siamo sul Moria, anche se Dio ci appare insensato e crudele, dobbiamo trovare il coraggio di guardare verso il Tabor.

Colline
Iniziamo la quaresima guardando al Tabor. Iniziamo la purificazione dei nostri cuori guardando a questa piccola collina poco distante da Nazareth. Gesù porta con sé, per una bella passeggiata, i suoi amici più stretti. E lì, sul monte battuto dal vento, accade.
Per la prima volta gli apostoli vedono Gesù nella sua bellezza, vanno oltre, scoprono, affascinati, lo splendore di Dio.
Qualche padre della Chiesa ci suggerisce che volle portarli con sé per dar loro la capacità di affrontare un altro monte, il Golgota.
Una cosa è certa: se non incontriamo la bellezza di Dio, non riusciremo mai a consegnarci a lui, definitivamente.
Ad alcuni accade come Abramo e come agli apostoli: prima vivono la gloria e la bellezza, poi affrontano la croce.
Altri, come Simeone, vivono tutta la vita sulla croce per poi incrociare lo sguardo della bellezza di Dio.
La nostra quaresima è anche questo: attesa.
E scoperta delle tracce di Dio attorno a noi. Labili, sporadiche, eppure così incredibili.
Ieri, tornato da un lungo viaggio, sono salito per qualche ora sulle “mie” montagne, per pregare, per riposarmi, per snebbiare il cervello e preparami ad una settimana di fuoco.
La primavera, evidente in fondo valle, comincia ad aggredire l’inverno delle montagne. Pochi segni, quasi impercettibili, eppure crescenti. La temperatura che si alza, il sole alto che rimane fino al pomeriggio inoltrato, qualche chiazza sui bordi delle strade che svela una tristissima erba secca, benedizione e sopravvivenza per i camosci che scendono ignari degli uomini…
Senza bellezza non possiamo vivere. Lo sappiamo.
Bellezza della natura, bellezza dell’arte, bellezza dei gesti e dell’affetto degli amici.
Bellezza che ci porta, in qualche modo verso Dio.

Attesa
Marco è l’unico che dice  Improvvisamente, guardandosi intorno, non videro più nessuno se non Gesù solo, con loro.
La conversione alla bellezza è improvvisa. A noi di guardarci intorno e scoprire la bellezza di Dio per giungere anche noi, infine, a vedere solo più Gesù nella nostra vita, e noi assieme con lui.
La bellezza convertirà il mondo.
E noi, suoi fragili discepoli, siamo spinti a vivere nella bellezza della relazione e della verità, della compagnia agli uomini e della Parola, per dire e dare ai nostri fratelli uomini la speranza di una Presenza che ancora si deve svelare nella sua totalità.
Noi, fragili discepoli, siamo chiamati e testimoniare con semplicità e verità che solo Gesù colma il nostro cuore, riempie la nostra anima.

Ora tengo le mani di questa madre addolorata, mentre il padre ancora mi racconta.
Non so che dire.
Provo.
«Tuo figlio, ora, non può avvicinarsi a Dio, perché vive nella durezza e nella follia della vita. Il dolore, ora, parla al suo cuore. Come può salire al Tabor se è inchiodato al Golgota per la morte del fratello? Ma quello che puoi fare, tu, da madre, è di generarlo un’altra volta. Allontanati dal sepolcro, tu per prima, prova a scoprire ancora una qualche bellezza nel tuo cuore e nella tua vita. Non puoi convincere tuo figlio, ma provaci tu, come riesci, a salire sul Tabor. Poi, Dio farà il suo mestiere, fidati».

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