Laura mi sta raccontando la sua vita, piange sommessamente.
Una vita come molte, la sua, fatta di cose belle e di cose brutte, di scelte giuste e di scelte sbagliate. Un matrimonio finito dopo un anno a causa sua, un desiderio di maternità mai esaudito, una vita fatta di appartamenti in affitto e attenzione alle spese per arrivare alla fine del mese, quarant’anni vissuti con fatica.
L’ascolto con attenzione, so che me lo chiederà.
Alla fine lo chiede, forse a se stessa: «Vivo da eremita, per paura di sbagliare. Mi chiedo cosa sia valsa la pena di vivere, cosa ho fatto in tutti questi anni…»
Le sorrido. Vorrei darle delle belle risposte confezionate, piene di certezze.
Vorrei consolarla, dirle che vale, che ha ancora molti anni davanti a sé.
Ma sento stridore nel dirlo, mi sentirei un venditore ambulante. Forse davvero la sua vita è bruciata, forse davvero resterà sola con le sue paure e le sue fragilità. Da cosa si misura il successo di una vita?
Mi appoggio alla Scrittura, forse è meglio: prima di riceverla ho meditato le letture di domenica prossima, quelle che avete appena letto.
La Parola è molto meno devota di noi.

Rintracciare le cose del cielo
L’autore del libro della Sapienza scrive una riflessione che non stonerebbe (anzi!) come editoriale in uno dei nostri autorevoli quotidiani nazionali. L’autore scopre che “I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni (…) chi può rintracciare le cose del cielo?”, scopre che, nonostante tutto, non abbiano in noi la risposta di senso.
Il nostro mondo, che ha fatto progressi incredibili nella scienza e nella conoscenza, stenta a crescere nella sapienza, non riesce a dare risposte alle domande di senso degli uomini.
Il nostro è un mondo tecnologico, organizzato, che anela a varcare gli spazi siderali, che conosce gran parte dei segreti dell’energia, che riesce a migliorare continuamente il benessere degli abitanti del pianeta (almeno quelli dell’emisfero Nord …), ma che non riesce a dare risposta al ragazzo che si rifugia nella droga, non riesce a contenere l’odio che si scatena nella guerra, non scavalca l’indifferenza e la solitudine che rinchiudono in gabbie di cemento le famiglie.
L’autore della Sapienza si dà una risposta: l’unica cosa essenziale è cercare la sapienza, entrare dentro, andare oltre l’apparenza, riscoprire le profondità dell’essere, là dove dimora Dio. La sapienza che non è cultura o intelligenza, ma assaporare la realtà, scoprire, come ci dirà Gesù, che siamo creati per amare e, amando, cambiare il mondo.
Abbiamo bisogno del dono della Sapienza per sollevare il nostro sguardo in alto.

Per dove?
Dove si trova la felicità?
Gesù ha una risposta bruciante inebriante: io solo – dice – posso colmare ogni desiderio. E Gesù incalza e ci sfida: egli pretende di essere più di ogni affetto, più della gioia più grande (l’amore, la paternità, la maternità) che un uomo possa sperimentare.
(Non lasciatevi spaventare da quel “Chi non odia”, la lingua ebraica ha una curiosa costruzione linguistica per cui, per dire che una ragazza è un vero schianto, si dice che non è brutta. “Chi non odia” equivale, quindi, a dire: “Io posso essere amato più di ogni altra cosa”).
Che presuntuoso questo Gesù! Davvero può donare una gioia più grande della più grande gioia che riusciamo a sperimentare?
Può.
Fratelli e sorelle come noi, non esaltati, non “strani”, non diversi, hanno scoperto questa cosa, ci testimoniano che sì, il Signore è la pienezza della vita.
Facciamoci bene i conti in tasca, allora, cercatori di Dio, calcoliamo attentamente su cosa stiamo investendo, cosa ci stimola e ci inquieta, ci distrae e ci smuove. La proposta del Signore è sconcertante e affascinante e se, dopo duemila anni, milioni di persone oggi la ascolteranno, significa che forse è vero: solo Dio può colmare la nostra inquietudine, lui solo riempire il desiderio di infinito che abita in ciascuno di noi.

Cambiamenti
Così facendo la nostra vita, da ora, cambia di prospettiva.
Mettere la ricerca del tutto, la ricerca di Dio al centro della nostra vita, ci fa divenire persone nuove.
Ne sa qualcosa Filemone, simpatico cristiano delle origini, cui Paolo indirizza un biglietto di accompagnamento rimandandogli uno schiavo che si era rifugiato presso l’apostolo.
Paolo invita Filemone ad uscire dalla logica di questo mondo, padrone-schiavo, per entrare nella logica del Regno, fratello-fratello. Paolo non lo sa, ma in questo piccolo biglietto pianta il seme che diventerà l’albero dell’abolizione della schiavitù.
Il Cristo che mantiene ciò che promette, ci conceda, veramente, di avere il coraggio di lasciare le nostre piccole certezze per affrontare con decisione l’avventura della sua sequela.

Laura
Laura ha bevuto come una spugna le cose che lo ho detto, anima assetata, intuisce sentieri a lei sconosciuti, percorsi inattesi, luoghi altrove.
Sorride.
A lei, ora, di cercare il Nazareno.

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