Cristo nasce, ma è già nato nel nostro cuore? Natale porta con sé questa domanda ineludibile, nascosta sotto le tonnellate di melassa buonista con cui rischiamo di soffocare il messaggio crudo e devastante dell’incarnazione, lo scandalo del Natale. Dio viene: c’è ancora qualcuno disposto ad accoglierlo? Dicevamo delle tre venute di Cristo: nella storia, nella gloria e in ciascuno di noi. Molti cristiani pensano di essere tali semplicemente perché credono nella venuta nella storia del Signore Gesú. No: diventare discepoli significa far nascere (ri-nascere per alcuni) la presenza interiore di Dio. Dopo la prima domenica forte, tesa a svegliarci dal rischio di lasciarci passare la vita addosso, a non accorgerci della salvezza, del volto sorridente di Dio, del destino di ogni uomo, ci raggiunge oggi il grido forte e inquietante del Battista, grande asceta e uomo carismatico che invita la gente alla conversione, e non certo con parole dolci! La conversione – sembra dirci il Battista – è il modo migliore per accogliere il Signore, per essere presi alla mola (ricordate?) trovare senso a ciò che facciamo. Cos’è – dunque – la conversione? Tutti a pensare: "fare i bravi, non bestemmiare, andare a messa…; sì, più o meno, ma non proprio. Conversione è andare in un luogo ed accorgerci di avere sbagliato completamente strada, quindi fermarci e fare una bella inversione di marcia. Ciò presuppone che sappiamo dove andare, e qui cominciano i problemi… siamo certi di sapere in che direzione vogliamo andare nella nostra vita o seguiamo chi ci precede senza farci domande? Intendo dire che tutti, più o meno, cerchiamo la felicità, la pienezza, il benessere reale (cioè non indotto: se possiedi, se ti vesti allora sarai felice); ora: ciò che facciamo ci porta in quella direzione? No? Avete l’impressione che il nostro super mondo civilizzato abbia davvero colmato il cuore degli uomini dopo avergli riempito la testa di illusioni? E allora cosa aspettiamo ad invertire la marcia? Paura di abbandonare le proprie fragili sicurezze per cercare una verità incerta? Possibile. Ma il Dio che aspettiamo è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza i timori, un Dio forte e impetuoso! Un fuoco che divampa bruciando le lentezze, divorando impetuoso e forte. Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione ("abbiamo Abramo come padre!") o in una fede esteriore, di facciata, di coscienza tiepida ("fatte frutti degni di conversione"). Colui che viene chiede reale cambiamento, scelta di vita, schieramento. Dio – diventando uomo – separa la luce dalle tenebre, obbliga ad accoglierlo o a rifiutarlo. Finchè Dio è sulle nuvole, da invocare per chiedere un miracolo o da insultare perché il miracolo non è avvenuto, è un conto. Ma qui parliamo di un Dio neonato, cavolo! Un Dio indifeso che frantuma le nostre supposizioni su Dio. Un Dio mite e fragile, che chiede ospitalità e non vana devozione. Allora coraggio, imitiamo il Signore Gesù, come chiede Paolo ai cristiani di Roma, rendiamo presente la profezia (splendida!) di Isaia che sogna un bambino che gioca con la vipera, e il leone e il capretto che giocano insieme… e questo è quel tempo, tempo in cui porre gesti di pace e di solidarietà autentica. Un ultimo appunto sul grande Giovanni, ancora tutto immerso nel primo testamento, che minaccia vendette e punizioni. Non sa ancora – Giovanni – del vero volto di Dio; ne resterà lui stesso esterrefatto, al punto da dubitare di essersi sbagliato, riguardo a suo cugino Gesù. Grande Giovanni, amico dello sposo, che ci scuoti dalle nostre tiepidezze, che sbricioli le nostre fragili verità, le nostre assonnate parole, le nostre svuotate celebrazioni. Animo, fratelli, questo è davvero il tempo di preparare la strada al Signore che viene, questo è davvero il tempo di schierarsi, di accogliere questo Dio sempre inatteso, sempre diverso.