I magi tornano nel proprio paese dopo un’entusiasmante avventura interiore: partiti per verificare la veridicità di una loro intuizione scientifica, hanno visto vacillare tutte le loro certezze, giungendo a fare esperienza di Dio davanti ad un neonato che hanno riconosciuto, loro, pagani, come il volto stesso di Dio.
Tornano, ora, ma con un cuore diverso, per un’altra strada.
Come i pastori, la notte della nascita, sono tornati alle loro occupazioni col cuore pieno della gloria del Signore. Un mestiere misero, un finale di storia affatto edificante, ma la quotidianità, ora. è riempita dei racconti di quella notte.
Anche dalle mie parti si torna alla normalità. Dopo quindici giorni di neve abbondante, di giornate terse e di freddo intenso, tutti gli amici turisti sono rientrati, un po’ più abbronzati e, spero, più sereni.
Chiudiamo il tempo natalizio, lo chiudiamo grati al Signore per averci donato dei giorni in cui la Creazione ha cantato a squarciagola la gloria di Dio.
Mi auguro che il ritorno sia come quello compiuto dai magi; per un’altra strada, e come quello dei pastori, con un cuore alleggerito dalla consapevolezza della compagnia di Dio.
Battisti
Giovanni, vestito da una pelle di animale, i fianchi cinti da un pezzo di corda, immerge nel Giordano quanti vengono da lui. L’acqua gli arriva al ginocchio e rinfresca lui e i penitenti nell’assolato deserto.
Ogni tanto il profeta leva lo sguardo: la folla è variegata e numerosa.
Sono giunti dalla capitale e dal Nord per farsi battezzare, lavare via la vita che uno non vorrebbe, irrigare quella che invece desidera, dissetare la sete infinita di Dio. Tutti colgono la forza di quel gesto che chiede autenticità e coraggio.
A un certo punto, guardando i volti, al di sopra del mormorio della gente che prega, piange o chiede perdono, Giovanni lo vede.
È in fila come tutti, la tunica arrotolata ai fianchi, aspetta di essere battezzato.
Lo vede e lo riconosce con lo sguardo del cuore. Giovanni si ferma per un istante: non può essere!
Che buffo: tutta la sua vita si è consumata ad aspettare quell’incontro, a desiderarlo, a immaginare il volto di colui a cui preparava la strada. Ora egli è lì: non per insegnare, non per benedire, non per manifestare la sua vera natura, ma per farsi battezzare, come ogni fragile figlio di Adamo.
Solidale
Gesù si mette in fila per il battesimo. Non ne ha bisogno, il suo cuore non è oscurato dalla tenebra, in lui la presenza di Dio è assoluta. Eppure vuole condividere il bisogno intimo dell’uomo di liberazione e di pace.
Non fa finta, Gesù, non accetta vantaggi, in tutto è simile all’uomo. In tutto eccetto nel peccato che, appunto, è l’anti-umanità.
Questa sua vicinanza all’uomo si manifesterà ancora durante la sua vita pubblica.
Dio non approfitta del suo essere Dio: vuole fare esperienza di umanità, senza trucco.
Amati
Luca aggiunge una coloritura particolare a questa pagina.
Dopo il Battesimo Gesù prega (!) e, nella preghiera, fa esperienza di essere abitato dallo Spirito Santo e tutti sentono la voce del Padre: Tu sei il mio figlio bene-amato, in te mi sono compiaciuto, come preferisco tradurre.
Nella preghiera, esperienza interiore di Dio, scopriamo di essere amati bene.
Nella preghiera, sussurro di Dio, scopriamo che Dio è proprio contento di noi.
Sin da piccoli siamo invitati a essere buoni alunni, buoni figli, buoni fidanzati, buoni sposi, buoni genitori, buoni parroci… Il mondo premia le persone capaci, che riescono, e in noi si è insinuata l’idea che anche Dio ci ami, certo, ma a certe condizioni.
Siamo onesti: a volte ricattiamo i bambini manifestando loro apprezzamento se fanno ciò che vogliamo noi! L’idea finale che ci resta nel cuore è che, se ci comportiamo bene, come premio avremo la possibilità di incontrare Dio. (Se non qui, nell’aldilà)
Che fregatura.
Tutta la nostra vita diviene allora l’elemosina di un apprezzamento, di un riconoscimento. Molte persone diventano ciò che gli altri si aspettano che loro siano.
Anzi, se una persona ci contraddice, ci accusa, reagiamo, ma, in fondo, pensiamo che abbia ragione; ci diciamo: “Devi arrenderti all’evidenza, tu non vali”.
Il primo impulso potrebbe essere allora quello di difenderci, di aggredire, di ignorare le critiche, di dare il massimo, oppure, a volte, ci assale la disperazione: non ho meritato l’amore di nessuno, non sono affatto amabile.
Gesù inizia la sua vita pubblica smentendo clamorosamente quest’idea: Dio non mi ama se me lo merito, mi ama e basta. Dio mi ama gratis poiché egli è la sorgente stessa dell’amore e “Dio non può che amare”, come dice sant’Isacco di Ninive.
Bene amati
Dio, contraddicendo il mio inconscio, superando le convenzioni sociali, forzando le semplificazioni etiche, mi dice che io sono amato bene, dall’inizio, prima di agire: Dio non mi ama perché sono buono ma – amandomi – mi rende buono.
Dio si compiace di me perché vede il capolavoro che sono, l’opera d’arte che posso diventare, la dignità di cui egli mi ha rivestito.
Allora, ma solo allora, potrò guardare al percorso da fare per diventare opera d’arte, alle fatiche che mi frenano, alle fragilità che devo superare, ai legami malsani da allentare e sciogliere.
Il cristianesimo è tutto qui. Dio mi ama per ciò che sono, Dio mi svela in profondità ciò che sono: bene-amato.
È difficile amare “bene”. L’amore è grandioso e ambiguo, può costruire e distruggere, può far vivere o tarpare le ali. Intendiamoci: tutti vorremmo amare e l’amore è il desiderio assoluto e intangibile che abita in ciascuno di noi.
Un amore non maturo, un amore che possiede, un amore che ricatta produce dolore e frustrazione. Quanti genitori generano e coltivano nei figli giganteschi sensi di colpa e pensano di amarli! Quanti sposi intendono l’amore come un legame soffocante che impedisce all’altro di sbocciare! Quanti rapporti con Dio e tra cristiani si sviluppano in un clima malsano, che vincola invece di liberare, che uccide invece di far crescere, che mortifica invece di vivificare!
Dio, al contrario , mi ama “bene”: senza ricatti, senza suscitare sensi di colpa, desiderando davvero il mio bene e lavorando per ottenerlo.
Magnifico.