Conosco diversi modi, tutti validi, per avvicinarsi alla fede.
Uno, in particolare, è un modo ancora molto diffuso, il modo – cioè – di chi si avvicina alla fede da fuori, di colui che sa, conosce, condivide, teorizza. Persone di buon animo, educate alla fede e ancorate alle proprie convinzioni, che con fedeltà e che cercano di restare fedeli a quanto è stato loro insegnato senza porsi troppi problemi, attenti, in particolare, a non fare nulla che vada contro le regole di vita della propria fede.
Proprio come il simpatico e imbarazzato dottore della legge di oggi, che gioca a fare il teologo con Dio. La sua domanda, all’apparenza ingenua e inutile, nasconde, in realtà, una grossa problematica: i primigeni dieci comandamenti di mosaica memoria, al tempo di Gesù erano diventanti oltre seicento, costringendo il devoto israelita ad un inusitato sforzo di memoria. La domanda è abbastanza pregnante: cosa vale di più, cosa è più importante? Domanda che, francamente, spesso mi viene posta: non tutto nella fede ha uguale importanza, esiste una gerarchia delle verità, non bisogna confondere, nella fede, le cose penultime e conseguenti dalle cose ultime ed essenziali.
La risposta di Gesù si allinea sulle posizioni di alcuni Rabbì della sua epoca: la fede vissuta come gesto d’amore, come trasporto passionale verso Dio, verso se stessi e verso il prossimo. Fine della lezione, il dottore della legge ha fatto sfoggio della sua cultura, ha dimostrato di conoscere la Torah, amen.
E’ per uscire dall’imbarazzo che l’ignaro fedele si infila in un vespaio: chi devo amare?
Da’ per scontato di amare Dio, e forse è vero. Non si pone neppure il problema di volersi bene, del suo concetto di autostima, macchè, va diritto al cuore: chi devo amare? Le risposte del tempo non brillavano certo per originalità: ama i tuoi simili, disprezza i tuoi nemici.
Oggi le cose si complicano, con tutte le immense sfumature della parola `amore`. Dobbiamo `amare` come si `fa` l’amore, come si `ama` un gelato o che altro?
Gesù, al solito, risponde alla sua e alla nostra domanda.
La storia del buon samaritano l’abbiamo mandata a memoria dal tempo del catechismo. Eppure, a leggerla, si resta ancora inquieti: la strada che, attraverso il deserto di Giuda, scende fino a Gerico, i briganti, i passanti che tirano diritto. Un’usuale resoconto di cronaca relegato nelle pagine interne di un quotidiano di provincia: chissà dove andremo a finire con questa violenza; sì mi sarei volentieri fermato ma poi le conseguenze legali; quel tale sanguinava, ma temevo fosse un regolamento di conti tra bande rivali, appena arrivato a Gerico ho telefonato ai carabinieri.
Tutto scontato, ovvio, prevedibile.
`Invece, un samaritano`, dice Luca. Invece: non è ovvio che un samaritano soccorra un ebreo, né che rinunci al suo viaggio per cercare un caravanserraglio, né che si offra di pagare il soggiorno del povero malcapitato, né che non abbia chiamato i giornali per segnalare, modestamente, il gesto di solidarietà. `Invece` è una scelta, un andare controcorrente, un seguire il cuore e non l’istinto, un mettersi in gioco, sporcarsi le mani e la tunica del sangue dello straniero, pensando, semplicemente, che avrei potuto esserci io al suo posto.
Fine della storia, fine della lezione.
Gesù conclude: chi ha amato? Chi si è messo in gioco, come ha amato?
Dice al dottore, e a noi: quanto sei disposto a metterti in gioco? A chi ti sai fare prossimo?
L’amore diventa concreta scelta che travalica l’emozione, che supera il pregiudizio, un occuparsi, un farsi carico, un mettersi da parte.
Ecco, amici, fine della predica.
E non venite a dirmi che vi sentite in colpa perché non fate volontariato, né che la prossima volta allungherete un euro allo straniero al semaforo, né che vorreste tanto ma non potete.
Gesù non sta dicendo questo. Gesù vuole soltanto che ci crediamo capaci di ascoltare, che sappiamo guardare con tenerezza lo straniero, capendo le sue ragioni senza cedere ai suoi ricatti emotivi, che ci sbattiamo nel trovare soluzioni, che – infine – la smettiamo di usare come foglia di fico il comandamento, per amare con concretezza tutti, a partire da me stesso.
Perché noi per primi, cercatori di Dio, siamo stati bastonati dalla vita e Gesù, buon Samaritano, versa sulle nostre ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza e ci porta, caricati sull’asino che è la comunità, alla locanda della vita vera.


In questi giorni esce un mio libro `Cristiano stanco?` per le edizioni san Paolo, in tutte le librerie, al costo di sette Euro. Chi avesse già `Gesù uomo perfetto`, non lo prenda: è lo stesso testo con titolo diverso. Faccio il parroco, non lo scrittore, sono solo appunti offerti a tutti. Chi lo leggesse, mi faccia la cortesia di dirmi cosa ne pensa. Kiss

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