`Fra voi non sia così`: questo tema ricorre in queste ultime settimane dell’anno e ci invita a guardare al nostro modo di essere Chiesa. Il Signore descrive bene l’atteggiamento naturale, spontaneo che abbiamo rispetto ad alcuni temi spinosi: il potere, la diversità, l’affettività e invita i discepoli a ragionare e vivere in maniera radicalmente diversa. Non è un’opprimente cappa morale quella che il Signore chiede ma – piuttosto – lo svelamento di una (bella) possibilità di vita alternativa che portiamo nel cuore.
E oggi – ci mancava! – dobbiamo parlare del tema del denaro e del possesso. Tema delicato perché – come l’affettività – affonda le sue radici in esperienze e desideri radicati nell’inconscio. Cosa pensa il mondo della ricchezza? Che battuta! Possiamo dire senza moralismi ma con crudezza e realismo che in questo terzo millennio a comandare ogni scelta, ad orientarla è ormai l’economia. Crollata l’epoca delle ideologie che hanno caratterizzato il secolo appena finito, siamo rimasti con un pugno di mosche in mano e con la teoria del turbo-capitalismo, del liberalismo assoluto come – de facto – l’unica (l’ultima?) ideologia imperante. L’economia gestisce il potere e le scelte, anche nel nostro piccolo mondo. Se siete come me, cittadini senza grandi passioni per borsa e vicende del genere, siete però consapevoli di come l’aspetto economico sia diventato determinante nella nostra vita quotidiana e l’ipotetico e mai raggiunto livello di benessere, in realtà, condizioni la nostra vita in maniera assurda. Occorre lavorare per produrre per guadagnare e comperare cose (spesso inutili) per tenere in piedi un’economia gonfiata. E questo messaggio passa, (dis)educa: basta sentire i nostri ragazzi delle superiori, il lavoro che vogliono è – anzitutto – un lavoro che renda, il resto viene dopo. Spesse volte il nostro vecchio papa inascoltato ha fortemente criticato questa impostazione, svelandone l’intrinseca fragilità e ingiustizia. Tant’è: qui dobbiamo vivere, questo è il nostro tempo, per vivere dobbiamo lavorare in due in famiglia, per comperare un alloggio popolare fare un mutuo di vent’anni (mutuo che nessuno mi da se non ho un lavoro fisso che nessuno mi da, divertente, no?). Non ho mai conosciuto nessuno che mi dicesse: io vivo per far soldi. Ma, allora, da dove vengono tutte le liti furibonde per questioni di eredità? Amicizie definitivamente affossate per un prestito mai restituito? Dobbiamo ammetterlo: il possesso fa parte della nostra natura, l’accumulo ci è connaturale, la soddisfazione dei bisogni – veri o presunti che siano – muove la nostra vita. E chi vende lo sa bene.
E Gesù cosa dice? Stupefacente, amici: Gesù non condanna tout court la ricchezza, né esalta la povertà. Lo dico perché spesse volte scivoliamo nel moralismo criticando i soldi (degli altri) e invitando a generosità (sempre gli altri). Gesù dice che la ricchezza è pericolosa perché promette ciò che non può in alcun modo mantenere. Fa effetto, per me parroco di montagna, parlare con amici turisti `realizzati`: splendido e redditizio lavoro, benefit a non finire, ambienti di qualità, per poi parlare con loro e ritrovare le stesse ansie e le stesse preoccupazioni di chiunque. Dunque, dice Gesù, la ricchezza può ingannare, può far fallire miseramente una vita, la pienezza è altrove, non nella fugace emozione di avere realizzato il sogno di possedere il giocattolo prezioso cui anelo. Ma la povertà non è auspicabile, la miseria non avvicina a Dio ma precipita nella disperazione. Perciò il Signore ci chiede di avere un cuore libero e solidale: la povertà è scelta dai discepoli perché ci è insopportabile vedere un fratello nella miseria, tutto lì.
Ancora una volta il Signore ci chiede di essere diversi, il `fra voi non sia così` che è caratterizzato, in questo caso, dalla scelta della condivisione e della essenzialità, del vedere le povertà e accontentarsi senza finire nella spirale della cupidigia. Elemosina, condivisione, dono sono ancora i protagonisti di una sana vita da discepolo, senza affannarsi dell’accumulo ma coscienziosamente affidandosi a quel Dio che veste splendidamente l’erba del campo. E questa logica deve permeare anche i rapporti nelle comunità, i soldi delle comunità che servono all’annuncio del vangelo senza fumosità, senza ambiguità. Se facciamo parte di una comunità manteniamola anche economicamente, chiediamo e offriamo trasparenza, orientiamo le nostre scelte a servizio dell’annuncio. Che tra noi, nelle nostre chiese, nelle nostre scelte, prevalga sempre la generosità e la fiducia nella Provvidenza al calcolo che appanna la libertà che dobbiamo tenere nei confronti del possesso.

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