Per uno come me, abituato ai grandi silenzi e ai grandi spazi, scendere in una grande città è sempre un piccolo evento. Mi resta dentro, intatto, il DNA del montanaro che sa orientarsi solo se vede delle vette intorno a sé.
Milano ha un suo fascino particolare, specialmente ora che si avvicina il Natale. Per evitare di perdermi (so guidare meglio sulla neve che parcheggiare in centro!) mi sposto con i mezzi. E ogni volta mi stupisco, facendo lunghi tragitti in metropolitana, della varietà della gente che incrocio. A seconda dell’ora e della direttrice, le carrozze si svuotano e si riempiono all’inverosimile, caricando e scaricando persone diversissime: giovani alternativi, manager in completo scuro, donne in carriera, pensionati, stranieri di cui cerco di indovinare la provenienza dai tratti del viso… Migliaia di persone che si lasciano dondolare dal rollio della vettura per andare o tornare dal lavoro, per una visita medica, per un po’ di shopping. Non mi succede mai, nel nido delle aquile dove vivo, di vedere tanta gente tutta insieme. Allora mi concentro sul volto di chi mi sta seduto di fronte e provo ad immaginare i suoi pensieri, i suoi sogni.
Eccola qui l’umanità, l’umanità salvata e sempre da salvare. Migliaia di teste, di storie, di emozioni, tutte accomunate, inconsciamente, dal desiderio di felicità, tutte desiderose, malgrado le proprie delusioni e attraverso i propri sogni, ad amare e a lasciarsi amare.
Eccola qui l’umanità che ha spinto Dio a diventare uomo, che ha meritato la presenza di Dio, che ne ha provocato il dono. Eccola l’umanità: pecore senza pastore, come diceva Isaia, il popolo da consolare, che, spesso, non sa farsi consolare, non sente bisogno di salvezza, o la pone in qualcosa di diverso. Osservo con simpatia un gruppo di adolescenti che parla animatamente: suscitando dinamiche di seduzione fra ragazzi e ragazze, look di moda e ultimo modello di cellulare, qualche piercing e tatuaggio. Sono tutti modi, in fondo, per distinguersi, per identificarsi, per farsi notare, per farsi amare.

Il vero io incontra il vero Dio
Facciamo fatica ad essere noi stessi, ci mettiamo una vita a scoprire chi siamo e a liberarci delle nostre maschere. Educazione, condizionamenti, carattere, tutto concorre ad intorbidire il cammino di liberazione che Dio è venuto a proporci. Non siamo più abituati a pensare, a comunicare, viviamo in un mondo osceno, esteriore, superficiale. Nel difficile cammino educativo necessitiamo di stimoli, di armoniose sollecitazioni, non di idee urlate e di modelli di vita insignificanti. Abbiamo bisogno di profeti come il Battista, autorevoli come lui, autentici come lui.
Non ho capito molte cose della mia vita, ma una sì: la verità ci rende liberi. Solo il mio vero “io” incontra il vero Dio.

Autenticità
Giovanni è il più grande tra i figli di donna, un profeta austero e coerente, energico e carismatico. Attorno alle sponde arse del mar Morto nei pressi di Gerico, Giovanni ha radunato un movimento eterogeneo di cercatori di Dio, di insoddisfatti bisognosi di senso, lontano dalle luci della capitale, dalle pompose celebrazioni del nuovo Tempio, dalle comodità (e dallo stordimento) della città.
Non è tenero Giovanni, disilluso e acre, aspro e tagliente, chiede ai suoi seguaci un cambiamento radicale per poter incontrare il Messia di Dio. Quasi alla fine della sua breve ma intensa vita, Giovanni riceve la visita degli inviati del Sinedrio che si interrogano, loro, i detentori del potere a proposito di questo strano personaggio che non si spaventa neppure di fronte alle autorità religiose, che non ne enfatizza il ruolo, che tira diritto per la sua accidentata strada.
«Chi sei?», chiedono.
Giovanni è chiaro: lui non è il Cristo.
Potrebbe pensarlo: gli altri lo pensano di lui (bisognosi come siamo di Cristi).
Potrebbe approfittarne, cedere alla più subdola delle tentazioni, quella del delirio di onnipotenza. No, dice Giovanni, lui non si prende per Dio. Anche lui, come i penitenti, ne è disperatamente alla ricerca…
Giovanni ci ammonisce: solo riconoscendo il proprio limite, che è opportunità e non mortificazione, possiamo diventare liberi per accogliere il Dio fragile che nasce. Solo riconoscendo che non abbiamo in noi tutte le risposte, possiamo metterci alla ricerca. Solo entrando nel profondo di noi stessi possiamo trovare la nostra vera identità in Dio.

Voce
«Chi sei, allora?». Chi siamo, allora?
La logica mondana dice: sei ciò che produci, sei ciò che appari, sei ciò che guadagni, sei ciò che guidi, sei ciò che conti, sei quanto urli. Giovanni sa che non è così, che è illusoria e menzognera questa logica, che, mai, siamo ciò che possediamo o facciamo.
Giovanni ha pensato e ha capito. Il sole del deserto e la polvere che raschia la gola, gli occhi bruciati dalla luce e il corpo ormai piegato alla durezza delle scelte, lo hanno portato a capire chi egli è nel profondo, l’attesa spasmodica di un messia hanno creato dentro di lui uno spazio che saprà riconoscerlo e riconoscersi.
«Chi sei, allora?». Un mistico? Un provocatore? Un guru?
No, egli è voce.
Voce, voce prestata ad una Parola, voce che amplifica un’idea non sua, voce, che fa riecheggiare un’intuizione di cui anch’egli è debitore.
Poco, vero?
O tutto?
Ci immaginiamo sempre di essere dei grandi, di compiere (o scrivere) cose memorabili, di restare nella storia o, perlomeno, nella piccola storia delle persone che amiamo.
Dio ci svela cosa siamo in profondità.
Tu, amico lettore, cosa sei? Cosa dici di te stesso?
Forse sei pazienza, o attesa, o sorriso, o perdono, o sogno, o inquietudine.
Contrariamente alla falsa idea del cattolicesimo che mortifica e castra le ambizioni degli uomini (“Se Dio c’è io sono fregato”, pensa Erode), il Vangelo ci svela un Dio che ci aiuta a cogliere la verità di noi stessi.

Gioie
Non so come stiate arrivando a questo Natale: l’importante è che ci arriviate in maniera autentica.
Forse non è un gran periodo, forse non siete affatto soddisfatti di voi e delle vostre scelte.
Pazienza, Dio viene lo stesso, se avete il coraggio di invocarlo.
Perciò dimorate (dimoriamo) nella gioia, rallegriamoci sempre nel Signore, teniamo buone le cose che egli ci ha donato, gioiamo pienamente in questo Dio che non meritiamo e che si dona.
Questo mite Dio che attendiamo e che già amiamo.

La metro arriva al capolinea, siamo rimasti in pochi sulle carrozze. Scendo e mi infilo nella serata umida di Milano, verso il parcheggio. Salgo e imposto il navigatore: mi aspettano altri cercatori di Dio per parlare del Natale e del Dio che ancora viene.

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