Un Vangelo di quelli che si fa fatica a mandare giù. La logica del perdono, chissà perché, è qualcosa che urta profondamente la nostra istintualità. Eppure è ciò che maggiormente caratterizza la nostra identità cristiana. Siamo chiamati, quindi, a perdonare sempre. Riflettiamo bene su questa pagina perché contagi, un poco almeno, la nostra vita. A leggere bene, Pietro fa un gesto straordinario. Non so voi, ma perdonare già sette volte è difficile! Immaginate: un amico si viene a scusare perché vi ha sparlato alle spalle. No problem: una pacca sulle spalle, una stretta di mano, pazienza. Torna dopo mezz’ora: ha risparlato male di voi: che fate, lo perdonate di nuovo o vi sentite presi in giro? Eppure Gesù rilancia il gioco: occorre perdonare sempre. Possibile? La durissima parabola che segue ci spiega questa esigenza: il cristiano è chiamato a perdonare quando si rende conto di quanto a lui è perdonato. L’accentuata sproporzione del debito nella parabola (centinaia di migliaia contro pochi centesimi di Euro) rivela il divario fra il gesto di Dio e il nostro. Quindi siamo chiamati a perdonare perché perdonati, perché noi per primi facciamo quest’esperienza di perdono gratuito, sproporzionato rispetto al condono del creditore. Eppure questo perdono non cambia il cuore del servo. L’ha fatta franca, è incredulo, euforico, non stupìto della misericordia del padrone. E, infatti, il suo cuore indurito non ha pietà per l’altro servo. Siamo chiamati a perdonare perché perdonati, non perché più buoni. Quante volte dimentichiamo un’offesa subita perché, tutto sommato, ci sentiamo migliori. Non ti perdono per dimostrare qualcosa, ma perché ne ho un bisogno assoluto… Siamo chiamati a perdonare a gratis, non sperando che il nostro perdono cambi l’atteggiamento di chi ci ha offeso. Anzi: come Gesù, rischiamo di essere ridicolizzati per il nostro gesto, di vedercelo rinfacciare come debolezza. Poco importa: chi ha incontrato il grande perdono non può fare a meno di guardare all’altro con uno sguardo di comprensione e verità. E concretezza. Mi spiego: riuscire a perdonare persone che mi hanno profondamente ferito non è cosa semplice. Spesse volte, poi, giocano un grosso ruolo fatiche di tipo psicologico. Nella concretezza di ciò che sono devo dare il massimo, non aspettare il perdono perfetto, ma esercitare il perdono possibile. Sono rimasto colpito da una preghiera che una vecchia mamma brasiliana, analfabeta, fece durante una preghiera comunitaria. Gli squadroni della morte gli avevano torturato e ucciso due figli sindacalisti negli anni della dittatura. Disse: "Signore che ascolti e proteggi le vedove, fammi vendetta: converti chi ha ucciso i miei figli!" Vi garantisco: fu meglio di mille parole sul perdono. L’atteggiamento del perdono lo maturiamo nella consapevolezza del nostro limite. Il Signore desidera talmente superare il nostro limite che ha istituito il Sacramento della Riconciliazione. Un momento straordinario, così poco valorizzato da noi cristiani, quasi timorosi e vergognandoci del nostro peccato invece che meravigliarci del perdono gratuito. Ci presentiamo alla Confessione come dichiariamo i redditi: meno dichiariamo, meno paghiamo! Se sapessimo, se capissimo di quanto amore il Signore è capace di colmarci! Se prendessimo più sul serio questa pagina del Vangelo! Se riuscissimo a costruire delle comunità di perdonati! Il nostro mondo ha smarrito la dimensione del proprio limite e fatica a trovare il perdono profondo che solo l’amore di Dio può dare. Che le nostre comunità, continuando il cammino suggeritoci dal Vangelo domenica scorsa, diventino luogo di comunione, di accoglienza di perdono dato e ricevuto, per diventare testimoni credibili dell’amore di Dio.

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