Un’estate decisamente fiacca.
Le lamentele dei commercianti, questa volta, non sono scaramantiche: sono proprio reali. Qualcuno degli albergatori azzarda e parla di un calo di presenze del 50%. Si sente la crisi, eccome, e la prima cosa che si taglia è sul superfluo: quindi meno giorni di vacanza. Tira una brutta aria per un posto come il mio che vive sul turismo.
Cerco di sdrammatizzare, di ricondurre tutti all’essenziale.
Un tetto sulla testa ce l’abbiamo, per il futuro vedremo.
Durante il giro che faccio a salutare qualche amico turista mi imbatto in una persona che mi affida alla preghiera la sua angoscia: suo figlio trentenne ha un tumore. L’ascolto, la incoraggio, poi lei, tagliente, mi dice: «Ho sempre pregato, mi sono affidata a Dio. Perché non mi ascolta?».
Non so darle una risposta sensata. Poi, questo pomeriggio, medito la parola di domenica prossima.
Già.

Gesù maleducato?
Nel Vangelo di domenica prossima una donna pgana, in ansia per la malattia inspiegabile di sua figlia, chiede a Gesù di essere ascoltata, ma non viene in alcun modo esaudita.
La donna – sofferente per la figlia ammalata – chiede un miracolo al Figlio di Davide il quale, letteralmente, non le rivolge neppure la parola.
La durezza dell’atteggiamento del Rabbì misericordioso è confermata dal giudizio dato agli apostoli preoccupati dalla sceneggiata fatta dalla donna. Gesù insiste e la donna Cananea cambia registro e con umiltà chiede un sostegno.
La risposta di Gesù è raggelante: «Non è bene gettare il cibo dei figli in pasto ai cani».
La insulta.
È un Gesù maleducato, quello che oggi ci presenta Matteo? Un Gesù razzista che pensa – come i suoi contemporanei – che i non-ebrei siano “cani”?
No, certo.
Come altrove nel Vangelo (Simone il Fariseo, la Samaritana…) Gesù sta per darci una magistrale lezione, vuole far crescere le persone, ama richiamando a verità, aiuta gli altri (e noi) a non prendersi in giro.

Superstizioni
La cananea si avvicina a Gesù sbraitando, invocando una guarigone: non gli importa nulla di chi sia veramente Gesù, non è sua discepola, solo vuole il miracolo del guru di turno, le ha provate tutte, perché non tentare anche con la religione?
Il Maestro non le rivolge neppure la parola, il suo è un atteggiamento duro che obbliga la donna a cambiare stile. La donna insiste e alla fine, esausta, si mette ai piedi del Signore e chiede solo più aiuto: non impone più al Signore i termini dell’intervento (voglio che accada questo) ma un generico e più autentico bisogno di aiuto.
La frase del Signore è uno schiaffo in pieno volto: «Bel cane che sei, non ti interessi di me, non segui la mia Parola, vuoi solo un miracolo. Io, prima, devo occuparmi dei miei discepoli».
Quante volte l’ho visto, questo atteggiamento!
Viviamo la nostra vita con una vaghissima appartenenza al cristianesimo, ci sentiamo cristiani a Pasqua e a Natale, consideriamo la Chiesa e la comunità una specie di inutile complicazione per chi ha un sacco di tempo da perdere, poi, quando accade qualcosa, una malattia, un lutto, ci rivolgiamo a Dio sbraitando, esigendo, minacciando.
Ci avviciniamo a Dio, che regolarmente ignoriamo, quando qualcosa non funziona, quando abbiamo dei bisogni. Lasciamo la nostra fede in uno stato di penosa sopravvivenza poi, quando la vita ci chiede un qualche conto, ecco i ceri che si accendono e le devozioni che si moltiplicano, e i padrepii che si scomodano.
E Dio tace, non ci rivolge neppure la parola.
Se, però, insistiamo potremmo sentirci dire la stessa frase: «Bella faccia che hai, ti disinteressi di me e ora invochi un miracolo!»

Conversioni
Come avremmo reagito noi al posto della cananea?
Io mi sarei offeso e me ne sarei andato, annegando nel mio dolore, maledicendo Dio e il suo disinteresse, chiudendo per sempre la porta della fede.
La donna cananea no, riflette.
La guancia ancora le fa male, mette da parte il suo amor proprio e confessa: «Hai ragione Signore, hai ragione; sono proprio un cane, vengo da te solo ora che ho bisogno. Però, ti prego, fai qualcosa…»
Mi vedo il volto duro di Gesù che si scioglie in un accogliente sorriso: «Risposta esatta, questa volta, la tua fede ora produce miracoli».
Che bello, amici, che bello!
Non sempre chi ti accarezza ti ama, non sempre chi ti fa dei complimenti desidera il tuo bene. A volte, il Vangelo di oggi lo dimostra, anche uno schiaffo ci richiama a verità.
Il silenzio di Dio, talora, è teso a metterci in discussione, a suscitare la fede, a produrre la conversione del cuore.

La Parola di oggi si apre ad un’ulteriore prospettiva di accoglienza universale dei “diversi”, degli stranieri. Isaia ricorda a Israele che ogni uomo è straniero, perché la terra è di Dio. Perciò Israele è chiamato ad essere ambasciatore di Dio presso l’umanità, perché ogni uomo sia colmato di gioia nella casa di preghiera.
E Paolo ricorda ai romani, pagani di origine, di avere grande affetto verso Israele perché la chiamata di Dio è irrevocabile.
La Parola di oggi ci guarisce dalle derive xenofobe che aleggiano nella nostra Europa e nella nostra Italia e rimette le cose al proprio ordine; problema non facile da affrontare, certo, ma che va comunque dibattuto dal punto di vista della Scrittura: tutti siamo stranieri davanti a Dio.
E chi sa che la nostra testimonianza di fedeltà e di pazienza, come lo è quella di Israele, come lo è quella di Gesù, non diventi per il fratello non credente stimolo alla riflessione e all’accoglienza del Rabbì che ci ha cambiato il cuore.

Problemi tecnici nell’invio della predica la scorsa settimana, portate pazienza! dp

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