Matteo ha davvero lasciato tutto per seguire il Signore, nello sguardo del suo Maestro ha visto l’infinita dolcezza di Dio. Quello stesso sguardo, ora, Matteo è chiamato a rivolgerlo ai fratelli cui è mandato.
Quel burlone di Dio, vedendo la fragilità degli esseri umani, sentendo compassione di tutti noi, ha pensato bene di inventare la Chiesa! Una improbabile comunità di persone del tutto diverse, unite solo dall’incontro con questo sguardo, unite solo dalla passione infinita verso il Maestro Gesù.
Ecco il compito della Chiesa, comunità di perdonati, non di perfetti: annunciare ad ogni uomo la tenerezza di Dio. Ma per farlo, amici, occorre riempire i polmoni e gridare sui tetti ciò che abbiamo sperimentato nell’intimo.

Megafoni di Dio
In questa non logica di Dio, che affida alle nostre fragili mani dell’annuncio, troviamo oggi il suo desiderio di annunciare agli uomini il suo vero volto.
L’invito, pieno di drammatica passione, ci viene dalla voce stessa di Gesù, nella sua ansia di inondare il mondo con la sua Parola, con la sua esperienza.
Siamo chiamati a gridare sui tetti che Dio conta anche i capelli del nostro capo, che Dio non è brutto e incomprensibile come ce lo raffiguriamo, che Dio ama etnreamente i passerotti e ne conosce le pene, che Dio, il Dio di Gesù, è splendido.
Gridarlo sui tetti che Dio è grande, che Dio ci ama, che Dio è presente, come il cuore dell’innamorato che, gonfio, vuole comunicare a tutti la sua esperienza.
All’uomo indifferente oppure travolto dal caos della vita, Gesù annuncia il tenero volto di un Dio che cammina con noi. Gridatelo sui tetti! E mi vengono in mente tutte le situazioni in cui ci vergogniamo di essere cristiani, in cui precisiamo di credere, sì, ma con molte parentesi, con molte obiezioni, per non sfigurare davanti alla `modernità`, tutte le volte che tentiamo di fare i cristiani `politicamente corretti`, quando cediamo ai compromessi per essere accolti in questo ipocrita mondo liberale che è liberale solo con chi la pensa come lui

Testimoniare
In fondo in fondo abbiamo paura della nostra fede, crediamo di dover quasi scusarci per credere, che le nostre ragioni vacillano davanti al pensiero contemporaneo. Ma è così? Forse sì, per molti. L’idea che la fede sia una concessione archeologica a soggetti particolarmente fragili ed emotivi in fondo contagia anche noi.
Ma è così? Abbiamo bisogno di approfondire la nostra fede, di scrollarle di dosso la polvere dell’abitudine e del tradizionalismo, per riscoprire il volto straordinariamente umano e compassionevole, credibile e ragionevole del Dio di Gesù Cristo.
Gridatelo sui tetti! Non nelle Chiese, non nelle sacrestie, non al piccolo gregge, ma nella piazza, al bar, in ufficio. La fede è stata a lungo nascosta nei tabernacoli, senza avere il coraggio di contagiare la nostra vita. Non è forse questo il dramma della nostra fede? Quello di essere timidamente rintanata in angusti spazio dello Spirito? Non è forse perché Dio è stato cacciato dalla nostra economia, dalle nostre scelte, dalle nostre famiglie, dalla nostra cultura, per essere idolatrato nel tempo del sacro che molti uomini guardano con sospetto al Vangelo, quasi fosse una rinuncia alla piena umanità?
Gridiamolo sul tetto questo Vangelo, facciamocene carico, entriamo nella compagnia di chi prende sul serio l’ansia di pienezza che inquieta il Signore.

Morbida fermezza
Intendiamoci però: niente integralismi in questi tempi di eccessi religiosi, in cui si soffia sul mai sopito spettro delle guerre di religione.
Vivere il Vangelo con serietà non porta in alcun modo ad agire senza il rispetto stabilito dalla carità. Rispetto assoluto delle idee e dell’esperienza umana, certo, ma anche l’esigenza di essere riconosciuti cittadini a pieno titolo, con un’esperienza forte e ristrutturante della società.
Se in lidi lontani, nelle Americhe e in Arabia, il rischio è quello di brandire la fede come un’arma, il nostro rischio è, invece, l’insignificanza.
Un cristianesimo ridotto ad etica o ad aiuto sociale perde completamente di vista questa esigenza di totalità e di globalità che il Signore vuole da noi.
`L’amore ci spinge`, diceva san Paolo. E’ l’amore per Dio e per l’uomo che fa gridare sui tetti, è la percezione della salvezza che può riempire i cuori che ci fa uscire per indicare a chi vive nella paura e nella solitudine che esiste una pienezza e che questa pienezza ha il volto e lo sguardo di Cristo. Ma fare questo, credetemi, costa. Costa in sguardi sospettosi, in battute rispetto all’eccesso di proselitismo, in giudizi, in manipolazioni (E’ di moda, sul lavoro, affibbiare al cristiano molto più lavoro, perché, pare, sia tenuto a far favori …), in scelte dolorose (In onestà, rispetto, amore per la vita), in persecuzioni (Chiedetelo ai 25 milioni di cristiani uccisi durante il luminoso ventesimo secolo!).
Insomma: essere cristiani sul serio, costa.
Fratello, sorella: quanto ti costa essere cristiano? Nulla? Brutto segno …
Nella fatica della testimonianza il Signore ci assicura che siamo nel cuore di Dio, nella pienezza della sua attenzione. Amati, saremo in grado di gridare il Vangelo con la nostra vita.

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