Un granello di senapa di fede e potremo sradicare i gelsi e trapiantarli nel mare. Così ci provocava Gesù due domeniche or sono. E sempre in nome della fede il lebbroso di domenica scorsa era sanato e salvato.
La fede, però, incontra difficoltà, dubbi, intoppi.
Mi sono incontrato con i 30 (coraggiosi) pellegrini scesi con me sulla tomba del Maestro Gesù a Gerusalemme. A qualche settimana dal viaggio ognuno raccontava le sue emozioni, ciò che era rimasto dentro dopo quell’esperienza travolgente. Uno di noi, che sta vivendo un momento lavorativo difficile diceva: “Il ritorno è stato un trauma: la guerra, l’indifferenza, un ambiente di lavoro fatto di coltelli e odio, mi sembrava di essere atterrato su un mondo diverso. Come fare a mantenere la fede in questo contesto?”
Abbiamo pregato lo Spirito, chiesto luce. Da tempo cerco di discernere, da molto tempo.
Cosa è ciò che stiamo vivendo oggi? Cosa vuole il Signore da noi? Quale tempo è il tempo che stiamo vivendo?
Non vogliamo più una fede di facciata, siamo stanchi di un cristianesimo che si risolve in una flebile appartenenza culturale. Le nostre parrocchie non possono ridursi ad essere dei distributori di Sacramenti. Manca la fede, davvero! Si alzano forti le voci di guerra, l’incomprensione non provoca esami di coscienza nei nostri mondi opulenti: abbiamo un nemico, ciò basta. Cosa possono fare i figli della luce? Perché dopo duemila anni di vangelo siamo sempre da capo? Non è assurdo? I cristiani, ora, finalmente, hanno abbracciato cordialmente la luce della pace che promana del Vangelo, e ora sono gli altri a volere la violenza!
Questo è il tempo dell’insistenza, come la vedova della parabola contro il giudice iniquo e corrotto che non vuole farle giustizia. Insistiamo: nel professare il vangelo di pace, nel vivere come figli della luce, pacificati e pacificatori, nella semplicità (costosa e incompresa) del vangelo, nella ricerca del senso. Insistiamo nel leggere la Parola, nel professarla in ufficio o in birreria, con insistenza, in ogni momento “opportuno e inopportuno” come chiede Paolo a Timoteo. Non si tratta di essere fanatici ma trasparenti, di non vergognarsi nel professare la propria fede, anche se inascoltata.
Questo è il tempo della preghiera continua, per sostenere chi lotta. Resto scosso quando partecipo a qualche eucarestia feriale in cittá e sento parlare di tutto, fuorché di ciò che stiamo vivendo nel mondo. La violenza deve essere al centro della nostra preghiera. Si sta giocando una partita che va al di là di ciò che sentiamo. Certo, non me li vedo i commentatori televisivi dirlo, ma in realtà l’impero delle tenebre (che è in noi, non in una cultura!) sta fronteggiando i figli della luce (presenti tra noi e tra i fratelli musulmani e in chi cerca la verità). Ognuno è chiamato, nel suo piccolo, a far diventare la sua giornata una scia di luce e di accoglienza, di interiorità e di preghiera, per contrastare l’immenso buio che raffredda i cuori. Come Mosè sul monte, malgrado la fatica, non lasciamo cadere le braccia per lo scoraggiamento o la fatica del vivere…
Questo è il tempo della centralità della Parola, come ammonisce Paolo. Restiamo saldi e scrutiamo le Parole che Dio ha dato al suo popolo. Ogni occasione deve essere utilizzata per conoscere di più e meglio la Bibbia: troppe persone non la conoscono e si accontentano, nella loro fede, di due o tre nozioni imparate al catechismo da bambini! Avviciniamoci da adulti alla fede, please…
L’inquietante interrogativo che Gesù mi/ci pone oggi, allora, quel “quando tornerò troverò ancora la fede sulla terra?” si risolve con una scelta, la mia, qui e ora. Si, Signore: io, la mia famiglia, la mia comunità crede che tu sei il Maestro, il Figlio del Dio altissimo e professa la sua fede nella tua presenza. Io conservo la fede nel Rabbì, luce nelle tenebre.

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