È risorto.
Abbiamo lungamente atteso la notizia passata da bocca a orecchio, ci siamo preparati in questi quaranta giorni. Lo abbiamo cantato durante la notte pasquale e ripetuto durante gli otto giorni che seguono.
È risorto!
Lo credo, lo credo con ogni mia fibra.
Credo che Gesù sia vivo, accessibile, incontrabile. Credo che egli sia raggiungibile e che abiti nei mille segni che ci ha lascito.
Non come sbiadito ricordo ma come misteriosa (misterica) presenza.
Eppure: come vorrei poterlo vedere! E conoscere! E abbracciare!
Così le prime comunità cristiane, morti gli apostoli, desideravano in cuor loro.
È allora che Giovanni l’evangelista ha deciso di raccontare la storia di uno degli apostoli, Tommaso.
Beato non perché ha visto ciò che noi non vediamo.
Ma perché ha creduto senza vedere.
Esattamente come accade a noi.
Ferite
Gesù, la sera di Pasqua, appare ai suoi.
Manca Tommaso.
Quando torna, i suoi amici gli danno la notizia, confusi e stupiti, raggianti e pieni di entusiasmo.
È gelida la risposta di Tommaso.
No, non crede.
Non crede a loro. Loro che dicono che Gesù è risorto, dopo essere fuggiti come conigli, senza pudore. Non crede, Tommaso, alla Chiesa fatta da insopportabili uomini fragili che, spesso, nemmeno sanno riconoscere la propria fragilità. Non crede ma resta, e fa bene.
Non fugge la compagnia della Chiesa, non si sente migliore. Rassegnato, masticato dal dolore, segnato dal sogno infranto, ancora resta. Tenace.
Torna Gesù, apposta per lui.
So che hai molto sofferto, Tommaso. Anch’io, guarda qui.
Gli mostra le mani, il risorto, trafitte dai chiodi.
Ora cede, Tommaso, il grande credente. Si getta in ginocchio, piange, come un bambino che ritrova i propri genitori. Piange e ride e, primo, professa la fede che sarà di tutti: Gesù è Signore e Dio.
Può il dolore avvicinarci a Dio?
Sì, se scopriamo che Dio lo condivide senza riserva.
Il risorto, ormai, lo riconosciamo solo attraverso dei segni: le bende, la voce, il pane spezzato, il segno della pesca. Ma anche le ferite del risorto, la partecipazione al dolore di Dio diventano segno.
Fede
Gioca con noi l’evangelista.
È un crescendo di titoli rivolti a Gesù, il suo vangelo. Come una piccola traccia fatta di briciole che ci conducono alla pienezza della verità.
I primi due discepoli lo hanno chiamato rabbì (Gv 1,38), poco dopo Andrea dice a Simone di avere trovato il messia (Gv 1,41), Natanaele osa chiamarlo Figlio di Dio (Gv 1,49), i samaritani lo proclamano salvatore del mondo (Gv 4,43) e la gente lo acclama come un profeta (Gv 6,14). Per il cieco guarito egli è il Signore (Gv 9,38) e Pilato gli attribuisce il titolo di re dei giudei (Gv 19,19). Ma è Tommaso ad avere l’ultima parola proclamandolo mio Signore e mio Dio, un’espressione che la Bibbia attribuisce solo a Jahwé (Sal 35,23).
L’incredulo, in realtà, si dimostra il più credente di tutti perché crede anche senza avere visto.
Nessun vantaggio per chi c’era, dice Giovanni, anche noi, come gli apostoli, possiamo fare esperienza totale di Dio.
Giovanni conclude il suo scritto dicendo che l’esperienza di fede nel risorto è comune a molti.
Molti segni sono successi e molti ne succederanno, e vangeli possono essere scritti da ognuno di noi, ogni volta che facciamo esperienza del risorto nei segni della sua presenza, l’eucarestia anzitutto.
E la misericordia, la compassione di Cristo diventano il grande segno dell’amore di Dio verso di noi. E la misericordia che noi abbiamo verso gli altri diventano segno dell’amore di Dio per gli uomini.
E ogni vita diventa sacramento.
Santi
Come quella di Papa Giovanni e di Papa Giovanni Paolo. Due giganti nella fede, diversi, vissuti in epoche diverse, ma entrambi travolti dalla compassione e testimoni fedeli del vangelo.
Giovanni con la sua bontà, sacramento di vicinanza rimasto impresso nel cuore di molti.
Giovanni Paolo con la sua energia e con la sua impressionante tenacia durante la malattia.
Vite divenute segni.
No, non abbiamo bisogno di vedere e di toccare per credere.
Cristo risorto ci raggiunge e ci tocca attraverso la delicatezza dei fratelli che ci pone accanto.
Animo, fratelli scoraggiati, la misericordia ci salva.