Diventare discepoli di questo Dio straordinario, è un impegno che dura tutta la vita, che richiede molta energia, molta verità con noi stessi. La posta in gioco è alta: il senso stesso della vita, il capire, infine, che cavolo ci stia a fare su questo pianeta… Eppure Gesù non è un Rabbì bramoso di discepoli, né abbassa il tiro per raccogliere la folla, né cede a compromessi per suscitare consensi.
La difficile pagina del vangelo di oggi, in cui Luca annota il fatto che Gesù `risolutamente` s’incammina verso Gerusalemme, luogo dove l’annuncio del Vangelo verrà messo alla prova, ci introduce alle caratteristiche del discepolato. Meglio: a cosa non è il discepolato.
Siamo cristiani, più o meno. Cioè? Tali perché battezzati? Perché fedelmente partecipiamo all’eucarestia della domenica? Perché abbiamo ripreso in mano un po’ di spiritualità?
Sedetevi, brotehrs, e ascoltate cosa significa diventare discepoli, secondo Gesù.
Il discepolo è un amante della pace, un pacifista pacificato, uno che sa che la scelta del Vangelo è – appunto – una scelta, uno che sa valutare il fallimento del proprio annuncio nella paziente logica del Vangelo. Lo sconcertante episodio introduttivo del Vangelo, che ci racconta dell’ansia vendicativa del mistico Giovanni, ci dice che non basta una bella esperienza di fede per avere un cuore convertito, né un’intensa vita di preghiera per non cadere nel rischio di fanatismo e di intolleranza. Quante volte misuriamo la nostra pastorale dai risultati, convinti – in teoria – che ciò che a noi è chiesto è solo di seminare, depressi, in realtà, se non vediamo dei frutti. Animo, confratelli, se il vostro sforzo non è apprezzato e capito. Coraggio, educatori e catechisti, se il vostro servizio umile e fedele non è valorizzato. La logica del Regno è in questa sconfinata fede che, davvero, ci fa credere che Dio solo suscita la fede. Il discepolo dimora nella pace, perché sa che è il Maestro che annuncia e conosce, e noi a corrergli dietro…
Il discepolo che segue colui che non ha dove posare il capo, non cerca Dio per placare la propria insicurezza. Tanti, troppi cristiani, hanno un rapporto con Dio intimista e rassicurante, si rivolgono a Dio per avere certezze, fanno della propria fede una cuccia, un nido, sono spaventati dal `mondo`, che vedono sempre come un luogo pieno di pericoli, non escono dalla propria parrocchia, dal proprio movimento, perché intimoriti da una logica anti-evangelica che non riescono ad accogliere con serenità e criticità.
Il discepolo che segue il Signore della vita, colui che è più di ogni affetto, più di ogni relazione, più di ogni emozione, chiede di ridimensionare anche i rapporti famigliari, nella logica del Vangelo, sapendo che anche l’amore più assoluto, più intenso è sempre e solo penultimo rispetto alla totalità assoluta di Dio. Perciò abbandona i sentimenti mortiferi, le relazioni all’apparenza splendide ma che, a volte, nascondono ambiguità e schiavitù. Il discepolo vive l’amore, ogni amore, i rapporti, ogni rapporto, come un riflesso adulto e maturo dell’amore che Dio riversa nel proprio cuore, sapendo che anche i rapporti famigliari rischiano di diventare mortiferi, se cadono nella trappola del ruolo senza nutrirsi dell’autenticità e del rispetto. Non basta avere generato un bambino per essere padre, non basta allattare un neonato per essere madre. Gesù sa che i rapporti di discepolato, talora, sono più intensi e veri degli stanchi rapporti famigliari.
Il discepolo che segue Gesù, sempre proteso al futuro, non resta inchiodato al proprio passato, non resta tassellato alle proprie abitudini, non si nasconde dietro il `si è sempre fatto così`, guarda avanti, punta la fine del campo, è più attento a tenere in profondità l’aratro, che a verificare ciò che ha fatto, voltandosi indietro. Troppe volte le nostre comunità sono più preoccupate a conservare, che a far vivere il Vangelo.
Inquietante, vero?
Ma Gesù non ci dice queste cose per scoraggiarci, tutt’altro. Vuole verità, autenticità, persone disposte a mettersi a nudo di fronte all’assoluto di Dio.
Lo seguiremo?