A volte rappresentiamo Gesù con un’immagine stereotipata: un giovane barbuto sorridente dai capelli fluenti con sguardo mieloso.
È vero: il maestro è passato alla storia per il suo atteggiamento misericordioso e compassionevole, ma non dobbiamo immaginarci un Gesù esangue o intimorito, timido o fragile.
Quando si tratta di difendere la sua idea di Dio e dell’uomo, Gesù rivela un volto deciso e virile, che sa parlare senza timore, che scorda le convenzioni e le buone maniera per mettere a nudo difetti e ipocrisie.
Ed è proprio l’ipocrisia, cioè la falsità, l’atteggiamento che maggiormente urta Gesù nel suo pellegrinare evangelico.
Non il peccato, non la tepidezza nella fede, non la superstizione, che – pure – corregge, ma proprio solo l’ipocrisia, quell’atteggiamento finto di chi appare in un modo e pensa in un altro.
E, in particolare, l’ipocrisia che regna fra i credenti e i devoti.
I super-devoti, in particolare: i farisei, i sacerdoti del tempio, gli scribi.
Schiaffoni
Per sette volte (il numero della pienezza!) nel capitolo 23 di Matteo Gesù lancia un inquietante guai! a queste persone, con una durezza che ci stupisce e ci inquieta.
Non fa sconti, Gesù, quando si tratta di difendere la fede nel Padre, non fa sconti perché vede che tali atteggiamenti allontanano gli altri fedeli, perché quando la fede diventa una caricatura di ciò che dovrebbe essere, ferisce le persone che vorrebbero incontrare Dio.
Se per Luca i guai sono rivolti ai ricchi, nelle beatitudini, per Matteo i soggetti a rischio sono i credenti.
L’inizio del capitolo in questione è illuminante: questo discorso di fuoco Gesù non lo rivolge ai diretti interessati ma alla folla e ai suoi discepoli radunati per ascoltarlo.
Cioè noi.
Ops.
Sacerdoti
Durante gli incontri del mio pellegrinaggio di speranza in giro per l’Italia incontro molte comunità cristiane, molti discepoli che cercano con semplicità e onestà di vivere il vangelo del Signore. Tutti percepiscono il momento grave che la Chiesa sta attraversando e ne provano sofferenza.
Fra le lamentele che raccolgo, spesso, c’è quella che riguarda l’esperienza fiacca di una vita di comunità scadente e la scarsa qualità evangelica dei sacerdoti.
È facile, oggi, sparare contro i preti e i vescovi, facile scivolare anche noi nel pettegolezzo globale e la prima cosa che vorrei fare è difenderli.
I preti, in particolare, si trovano a gestire una situazione difficile, viene loro chiesto un’efficienza sovrumana, scarseggiano di possibilità per vivere una vita serena ed equilibrata, anche umanamente. Dal mio punto di vista è l’organizzazione generale che va rivista: non basta invitare i preti alla santità, bisogna fornir loro gli strumenti per attuarla!
Incontro dei preti che mi cercano e mi chiedono un consiglio: persone generose e votate al vangelo che devono combattere contro la solitudine e l’ansia da prestazione di comunità sempre troppo esigenti.
Ma, occorre ammetterlo, accanto a questi assistiamo attoniti al diffondersi di una categoria di preti che definirei “neo-clericali”. Eccessivamente attenti alla forma, alle vesti, alle rubriche, insicuri in cuor loro, ostentano certezze con la rigidezza e l’intransigenza.
Se la chiarezza e la verità fanno parte del messaggio evangelico, non così la durezza e l’intolleranza.
Comunità ferite si lamentano di preti accentratori e supponenti, poco preparati ed egotici.
Ed è sconcertante vedere come gli atteggiamenti stigmatizzati da Gesù (ricerca di onorificenze, ostentazione, ricerca di consenso da parte degli altri), cacciati dalla porta della Chiesa, siano rientrati dalla finestra.
Certo, grazie al cielo (è il caso di dirlo!) questi preti sono la minoranza, ma quanto male stanno facendo alla Chiesa!
Il richiamo di Gesù è forte e chiaro: chi ha un ministero da assolvere nella Chiesa lo fa con umiltà e spirito di servizio, senza arroganza, come invece facevano i sommi sacerdoti, inebriati dalla ricostruzione del tempio, e gli scribi che si erano arrogati il diritto di parlare al posto di Mosé da quando Israele piangeva la scomparsa dei profeti fra il popolo.
Laici
Ma la Chiesa non di identifica con i preti.
Anche fra i laici i rischi di stravolgere la fede è enorme.
E i difetti sono sempre gli stessi: giudizio e ipocrisia.
I farisei, brava gente devota, giudicava come peccatori i poveri del popolo, ignoranti anche delle leggi da osservare. Ancora oggi, fra i devoti cattolici, trovo un’aria di giudizio e di sufficienza verso i tanti che non hanno avuto la gioia e la fortuna di lavorare nella vigna del Signore!
I pii israeliti amavano ostentare la loro devozione, amavano farsi vedere mentre pregavano e mentre facevano l’elemosina.
Gesù richiama tutti alla sobrietà, all’autenticità.
Negli anni successivi al Concilio un grande fermento aveva smosso i laici, fermento che ora appare spento e languente. Molti credenti non vogliono farsi coinvolgere, preferendo una fede che li vede protagonisti passivi.
Ma ancora molti vogliono, devono riappropriarsi del proprio ruolo di credenti presenti nel mondo per continuare l’opera evangelizzatrice della Chiesa che non può ridursi ad organizzazione e non si può identificare con la sola gerarchia.
Un vangelo bello denso, insomma, che sa volare alto.
Animo, e attenti a noi stessi!