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Lettura del Vangelo secondo Giovanni 16, 12-15
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Il Dio inatteso
Facciamo fatica a capire chi siamo noi, cos’è la vita, come funziona il mondo: perché mai dovremmo sforzarci di capire anche chi è Dio (se c’è?).
Peggio: per quale sadica ragione dovremmo sforzarci di capire la stravagante idea della Chiesa di credere in un Dio che, pur essendo uno, è anche Trino?
Penso che nella vita dobbiamo affrontare temi ben più seri che non seguire complicati ragionamenti teologici che usano parole usurate e incomprensibili come persona, generato e non creato, sostanza… siamo onesti: il rischio è davvero di farci travolgere da un’inutile e ridondante esercizio di retorica clericale.
Eppure.
Il Dio demoniaco
Mi sono convinto che portiamo nel cuore un’immagine di Dio.
Non sempre bella, sinceramente: un’idea spontanea, inconscia, culturale, legata alla nostra educazione e nutrita da qualche distratto ascolto di predica o di catechismo.
Dio c’è, certo, ma è incomprensibile, lunatico, inaccessibile.
Ti ama, si dice, ma poi incontro Marta che tre giorni prima di sposarsi ha scoperto di avere un tumore in fase avanzata a trentasei anni.
È onnipotente, ma non difende il bambino venduto per prostituirsi.
C’è, opera, ovvio.
Ma non fa quasi mai il mio bene.
Meglio blandirlo Dio, non si sa mai.
Meglio trattarlo bene, sperando che non ti capiti una disgrazia.
E, a dirla tutta, forse io sarei capace di operare meglio di lui e di risolvere qualche bel problemino mondiale.
L’idea di Dio che portiamo nel cuore, siamo onesti, è mediamente orribile.
Finché.
Il Dio di Gesù
Finché è arrivato un profeta potente in parole e opere, uno che non aveva studiato da prete, neanche tanto devoto, uno che – ormai adulto – si è messo a fare il Rabbì, un certo Gesù, falegname in Nazareth, figlio di Giuseppe.
Tre anni di vita intensi e folli, di segni e di passione, di fatica e di dono.
Tre anni di stupore crescente per le sue parole, per la sua autenticità, per il suo amore divorante come un fuoco. Tre anni di dono di sé e di predicazione.
Poi rabbì Jeoshua è morto, ovvio. Finiscono tutti così gli illusi, no?
Da Gandhi a Pino Puglisi, chi contraddice il sistema, anche quello religioso, è spazzato via.
Ma alcuni dei suoi professano che egli è risorto, che non è morto, che è accessibile.
Che non soltanto ci ha parlato di Dio in maniera nuova e potente.
Egli era Dio stesso.
E ci ha raccontato qualcosa di folle.
Dio è/in festa
Gesù ci svela che Dio è Trinità, cioè comunione.
Ci dice che se noi vediamo “da fuori” che Dio è unico, in realtà questa unità è frutto della comunione del Padre col Figlio nello Spirito Santo. Talmente uniti da essere uno, talmente orientati l’uno verso l’altro da essere totalmente uniti.
Dio non è solitudine, immutabile e asettica perfezione, ma è comunione, festa, famiglia, amore, tensione dell’uno verso l’altro.
Solo Gesù poteva farci accedere alla stanza interiore di Dio, solo Gesù poteva svelarci l’intima gioia, l’intimo tormento di Dio: la comunione. Una comunione piena, un dialogo talmente armonico, un dono di sé talmente realizzato, che noi, da fuori, vediamo un Dio unico.
Dio è Trinità, relazione, danza, festa, armonia, passione, dono, cuore.Allora finalmente capisco l’inutile lezione di catechismo di quando, bambino, vedevo il parroco tracciare sulla lavagna l’addizione: 1+1+1=1 e disegnava un triangolo equilatero. Tenero. Sbagliava operazione. In verità 1x1x1=1. Proprio perché il Padre ama il Figlio che ama il Padre e questo amore è lo Spirito Santo, che noi, da fuori, vediamo un’unità assoluta.
E a me?
Se Dio è comunione, in lui siamo battezzati e a sua immagine siamo stati creati; questa comunione ci abita e a immagine di questa immagine siamo stati creati. La bella parabola della Genesi ci ricorda di come Dio si sia guardato allo specchio, sorridendo, per progettare l’uomo.
Ma, se questo è vero, le conseguenze sono enormi.
La solitudine ci è insopportabile perché inconcepibile in una logica di comunione, perché siamo creati a immagine della danza.
Se giochiamo la nostra vita da solitari non riusciremo mai a trovare la luce interiore perché ci allontaniamo dal progetto.
Sartre diceva: “L’enfer c’est les autres”, Gesù ci ribadisce: “Siate perfetti nell’unità”.
E se anche fare comunione è difficile, ci è indispensabile, vitale, e più puntiamo alla comunione e più realizziamo la nostra storia, più ci mettiamo alla scuola di comunione di Dio, più ci realizzeremo.
La Chiesa, va costruita a immagine della Trinità. La nostra comunità prende ispirazione da Dio-Trinità, guardiamo a lui per intessere rapporti, per rispettare le diversità, per superare le difficoltà.
Guardando al nostro modo di essere, di relazionarci, di rispettarci, di essere autentici, chi ci sta intorno capirà chi è Dio e per noi l’idea di un Dio che è Trinità diventerà luce.
Questo è il Dio che Gesù è venuto a raccontare.
Volete ancora tenervi il vostro vecchio Dio?
Paolo Curtaz