Quali discepoli?

Come si diventa discepoli di Gesù? Luca inserisce a questo punto una sua lunga riflessione, dopo aver chiarito quale sia lo stile dell’essere cristiano attraverso discorso della beatitudini. L’ascoltatore, affascinato da questo discorso, potrebbe davvero desiderare di diventare discepolo di Gesù. Ma: come fare? Può darsi (anzi: lo spero) che alcune di queste riflessioni ci mettano un po’ in crisi, possiamo magari non ritrovarci nelle cose che leggeremo. Tranquilli: Luca è qui per rassicurare la nostra fede, non certo per buttarla per aria! E per farlo, ormai lo sappiamo, ha usato tutta la sua capacità, ha preso informazioni, si è smosso. Cosa significa, allora, diventare discepoli?

Mentre andavano per la strada un tale gli disse: “Ti seguirò ovunque tu vada.” Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.” A un altro disse: “Seguimi.” E costui rispose: “Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre.” Gesù replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; va’ e annuncia il regno di Dio.” Un altro disse: “Ti seguirò Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa.” Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto al Regno di Dio” (Lc 9,57-62)
Mah … non ho capito! Vi garantisco che questa pagina che abbiamo letto è stata tra le peggio interpretate nella storia della comunità cristiana! Chiedetelo alle suore a cui è stato rifiutato, a partire da una male interpretazione di questo passo, di partecipare al funerale dei propri genitori … Ve lo immaginate il Dio della tenerezza e della misericordia che fa il duro rispetto agli affetti? Pazzesco! Cerchiamo allora di leggere nell’intelligenza delle Scritture questi brani.
Anzitutto: su tre conversioni-chiamate, due sono quelli che si propongono (“ti seguirò”) e uno quello che viene chiamato (“Seguimi”), come a dire che vi sono due modalità di sequela del Signore: una spontanea, che nasce dal nostro desiderio di seguire Gesù, e l’altra invece che è la chiamata improvvisa da parte del Signore alla sequela. Ci possiamo trovare cristiani quasi d’improvviso, come Zaccheo, o lo siamo perché da sempre seguiamo il Signore, come Marta e Maria.

Tre sono le condizioni che il Signore richiede per poterlo seguire: non avere nidi, essere vivi, staccarsi dal passato.
Non avere nidi, come gli uccelli. Il rischio di fare della propria fede una tana, è enorme. Stiamo talmente bene io e il mio Gesù, con le mie piccole certezze, i miei ritmi, le mie preghiere, non disturbateci … Attenti! Il Signore è continuamente in movimento, non ha dove posare il capo. Pensate al “pingue canonico” Cottolengo che in età di pensione diventa il Santo che tutti conosciamo … Attenti a non fare di Dio una consolazione che mi intontisce, che mi aliena dalla vita concreta. Questo non è il Dio di Gesù Cristo! Ancora l’altro giorno un tale mi diceva: “Voi cristiani, col vostro piccolo mondo ordinato, in cui tutto torna, col vostro dio che vi consola.” Dio che consola? Non il mio! Il mio non mi fa star fermo un secondo! E’ sempre lì a chiedermi di cambiare! Altro che vaghe consolazioni … Volete farvi il nido? Fatti vostri, Gesù non ci sarà, è già oltre. Vuoi essere discepolo di Gesù? Preparati a viaggiare …
Che fatica è questa, che fatica. Quante volte noi preti fatichiamo ad annunciare il Vangelo a gente che è intrisa di cristianesimo senza mai avere incontrato il Signore Gesù! Molti si sono fatti un nido con la loro fede e non si mettono mai in discussione. Luca ci ricorda che la fede è continuo cammino, continua scoperta, continua meraviglia …

La seconda condizione per essere discepolo è lasciare che i morti seppelliscano i morti. Che significa? Mi pare di interpretare il Vangelo in questo modo: il Signore non ha bisogno di cadaveri, ma di vivi. Il Vangelo ha bisogno di uomini e donne che siano vivi, vivaci, che abbandonino la loro parte mortifera, cadaverica. Perciò nella Chiesa primitiva si viveva il Battesimo dato agli adulti come una rinascita, come un abbandonare dietro alle spalle una morte. Ed è la percezione di chi ha riscoperto la fede: ero morto e ora vivo, ero buio e ora è luce, ero incosciente e ora conosco. Questo ci allontana dal pregiudizio di una visione “cadaverica” della fede, come di qualcosa di vecchio, per persone che già hanno un piede nella fossa, perché non si sa mai che fosse tutto vero … No! Il Signore vivifica. Perciò abbandoniamo l’idea che la fede sia qualcosa di tenebroso, di ombroso. Macché: la fede è per uomini veri, uomini vivi, uomini che danno il meglio di sé, senza sdolcinature, senza sacrifici. Attenti: il sacrificio è essenziale, ma per vivificare, non per mortificare! Dio ci renderà conto di tutte le gioie che non avremo vissuto. Dobbiamo ricuperare, noi cristiani, questo amore alla vita, alle gioie della vita. Molto spesso certe difficoltà che incontriamo nella fede, ad esempio nella preghiera che ci risulta difficile sono legate alla poca attenzione alla nostra umanità. Se sono stressato e non faccio ferie, la mia sarà una fede stressata! Attenti a non stravolgere il vangelo: il Signore ci chiede di vivere con gioia tutte le realtà mondane, sapendo che provengono da Lui.
Nella bellissima preghiera eucaristica Vc si dice a un certo punto: “La tua chiesa sia testimonianza viva di amore, di verità, di giustizia, di pace, perché gli uomini, vedendola, si aprano alla speranza di un mondo nuovo.” Che bello! Se ci sappiamo amare, se siamo autentici e giusti, se coltiviamo la pace, diventiamo uomini che irradiano la speranza per un mondo nuovo. Il cristiano deve recuperare la sua dignità. Ci pensate? Siamo figli di Dio. Possiamo diventare grandi personaggi della politica, della cultura, della ricerca … ma più che figli di Dio non saremo mai! E questo Dio nell’incarnazione è diventato uno di noi. Cosa significa questo Dio che diventa carne, sudore, sentimento, affetto, rabbia, se non che la nostra umanità val la pena di essere vissuta? Non cadaveri, ma vivi! Non mezzi uomini ma uomini fieri della propria umanità perché redenta da Cristo! Dio, incarnandosi, ci viene a dire che la vita è fantastica, che vale la pena di essere vissuta. Noi, spesso, coltiviamo l’eresia che proviene dalla concezione greca (e orientale, a dirla proprio tutta) che la vita terrena è malvagia, puniione,decadimento. No: la vita è dono prezioso di Dio. Questa vita così faticosa. Questa vita fatta di contraddizioni è benedetta da Dio. Pensate come sarebbe la nostra quotidianità se credessimo a questa cosa! Mi viene in mente quello spazzino di cui è in corso la causa di beatificazione che diceva: “Do una mano a Dio a tenere pulite le strade della mia città.”
Seguire Gsù significa vivere, non essere dei cadaveri. Significa scoprire che la mia vita, i miei sentimenti, la mia storia, i miei affetti, la mia famiglia, il mio lavoro non sono disgrazie da cui liberarsi al più presto, ma sono positività!

La terza riflessione riguarda il guardarsi indietro. Nessuno che, messo mano all’aratro, si volge indietro, è degno del Regno. Che significa? Lo intuite da voi: attenti al passato che ingombra il presente. Gesù ha bisogno di gente rivolta al futuro, non ripiegata sul passato. Il Signore non vuole che siamo inchiodati alla miseria del nostro passato, alle fatiche della nostra infanzia, alle ferite del vissuto. Il Signore guarda solo avanti: chiunque può essere discepolo, non importa il suo passato, i suoi problemi. Il Signore ci dice che noi non siamo un problema. Abbiamo dei problemi, ma non siamo un problema. Che bello! Questo è “vangelo”, buona notizia.

Concludo questa riflessione leggendo la lettera di una mia parrocchiana che, dopo aver sentito questa riflessione durante un’omelia, mi scrive così:
“Quante volte sono una morta che si trascina o che si fa trascinare? Troppe. Hai ragione quando dici che troppe volte ci costruiamo un comodo e caldo nido in cui si è sicuri, ci si sente protetti e non si ha bisogno di altro. Comodo? Certo. Così comodo che si vive una morte prematura e ci si svilisce nella pigrizia; per paura di consumare le nostre preziose energie ci lasciamo consumare da agenti estreni, il lavoro, lo studio, la famiglia e non è tutto: per paura che qualcuno ci possa mettere in crisi ci volgiamo indietro, guardiamo il passato, i nostri errori e i nostri limiti quasi per giustificare il fatto che non facciamo nulla per cambiare.

(da “Il Gesù di Luca e di Matteo”, appunti, 1997)