Capitolo Diciotto

Carissima Giulia,

sono contento del fatto che riconosci la necessità di una conversione ad un’idea di Dio che cozza contro il nostro istinto (le religioni non hanno sempre cercato una risposta semplice dividendo la divinità in positiva e negativa?). Vorrei però approfondire, anche se sconfiniamo nell’alta teologia, il mistero della comprensione di Dio.
Gesù ci ha svelato non soltanto qual è il modo corretto di intendere Dio, ma ci ha svelato Dio chi è in se stesso. Sto per parlarti del mistero della Trinità. Lo confesso: meno male che c’è lo Spirito Santo. E parto da una considerazione un po’ tristeggiante: mi sono chiesto, sollecitato da un teologo, che cosa cambierebbe nella nostra fede se non esistesse la Trinità.

Sì, supponiamo, per assurdo, che un giorno un Concilio dicesse: “ci siamo confusi, Dio é uno solo, niente Trinità”. Che cosa cambierebbe nel nostro modo di vivere, di pregare, di credere? Ben poco, temo. La cosa spaventosa in cui spesso mi imbatto è quella di incrociare cristiani vagamente Teisti e nulla più. Un dire continuamente: “Sì, qualcosa esiste (nota bene: non Qualcuno), un dio al di sopra dei nostri destini …”. Ma questo non è cristianesimo, per niente! Gesù è venuto a raccontarci, dentro la lunga e appassionante esperienza di un popolo, il volto di Dio. Non un dio vago e indefinito ma un Dio concreto a appassionato. Ebbene, il volto di questo Dio è Trinità.
Bene, dirai, cioè? Sì, saltiamo in aria, detto questo. Vai allora con le immagini terribili del triangolo (con l’antipatia che mediamente i bambini hanno della matematica mi pare un pessimo modo di far conoscere l’Amore di Dio …) o dell’addizione: uno + uno + uno = uno (alche’ nella mia infanzia entravo in conflitto tra fede e scienza!). No, attenzione, il mistero della Trinità va avvicinato con delicatezza e rispetto, come una persona che ti comunica il profondo di se stesso, il proprio intimo, in una tiepida serata di primavera. Non va affrontata con preconcetti, con pregiudizi, con schematismi.

Cosa dirti, allora, della Trinità? Due cose che ho scoperto nella mia vita. Le altre spero di scoprirle col tempo. Anzitutto: dire che Dio è Trinità, significa dire che il nostro Dio non é un solitario. Non é l’essenza perfetta e immutabile di Allah, giudice misericordioso, certo; ma solo. Non é la perfezione asettica e statica dell’orologiaio dell’universo. No, Gesù é venuto a dirci che Dio é comunione, é festa, é famiglia, é comunicazione, è rapporto, é dinamica, é coinvolgimento. All’immagine lontana (e vagamente antipatica) di un dio “primo della classe” Gesù propone il volto di un Dio totalmente donato, totalmente rivolto, totalmente teso verso l’altro: il Padre verso il Figlio, il Figlio verso il Padre, e questo amore travolgente e profondo è lo Spirito Santo. Non é straordinario? Di più: la seconda riflessione che mi ha intriso di gioia interiore é la consapevolezza che noi siamo costruiti a immagine di questo Dio-comunità. Se é vero come é vero che la Genesi ci dice che Dio si guardò allo specchio per costruirci, capiamo un sacco di cose. Se siamo fatti a immagine della Trinità, se c’é dentro di noi l’impronta della comunione, la dinamica del dono, come possiamo pretendere di essere felici quando ci chiudiamo in noi stessi? Come possiamo credere che l’uomo sia sufficiente a se stesso quando é costruito sull’immagine di un Dio che é tutto rivolto verso l’altro? Certo: la solitudine é maledizione, é fatica, é contro l’uomo. La solitudine che é abbandono, fredda autosufficienza. No: l’uomo é un “per” l’uomo é un “verso”, l’uomo é assetato di comunione, perché fatto come Dio. Ho scoperto, allora, la conciliazione tra matematica e fede, tra geometria e Dio. Facile, ma non ci ero mai arrivato: 1 per 1 per 1 fa sempre 1.

Dio Padre che si dona a Dio Figlio che si dona nello Spirito Santo restano sempre un tutt’uno, un unico, uno stesso pensiero, uno stesso movimento. Aveva ben ragione quel pittore incredibile ( e santo) della Russia, Andrea Rublev, monaco, quando si mise a dipingere la Trinità. Tre angeli, giovani, identici, intorno a una tavola imbandita, uno perso negli occhi dell’altro, allungati e piegati verso il compagno in un movimento di linee che diventa cerchio, vita, danza. E verso chi guarda, un posto vuoto, al tavolo. Il posto dello spettatore, chiamato a far parte dei Tre, a entrare nella festa, a partecipare al banchetto. Sei invitata al mistero di Dio!

Ciao

don