Capitolo Sedici

Cara Giulia,

ho aspettato con ansia la tua risposta e finalmente so che mi hai dato retta e che hai letto il Vangelo di Marco. Scrivi: “Sono rimasta veramente stupita, leggendo in maniera “nuova” il Vangelo, dalla figura di Gesù uomo: è davvero distante da ciò che immaginavo! Chissà che fascino emanava!”.
Hai ragione: questo fascino emerge spesso nel Vangelo e gli stessi apostoli ne sono stati avvinti.
Hai notato come le chiamate degli apostoli siano quasi sempre improvvise e travolgenti? Quale forza interiore doveva avere quello sguardo capace di far lasciare le reti a gente abituata a rudi certezze e poco incline ai misticismi come gli apostoli!

Come promesso, oggi ti parlo del modo di porsi di Gesù rispetto a Dio. Questa volta ti tocca leggere Luca, discepolo di Paolo e fine scrittore. E’ un filo più lungo di Marco, a cui chiaramente si ispira, ma ha delle accentuazioni che ti stupiranno. Noterai che gli apostoli, affascinati dall’uomo Gesù, dalla sua libertà, dalla sua autorevolezza, siano letteralmente calamitati dal rapporto che Gesù ha verso Dio. E’ un rapporto interiore, sereno, intimo, profondo, fatto di lunghe notti passate di nascosto a pregare, fatto di sguardi riconoscenti e di esplosioni di canto e lode, fatto di intensa preghiera tesa ad allontanare il Maligno e la sua opera (la malattia, l’inautenticità). Più che le parole, gli apostoli sono colpiti dai gesti di Gesù, dal suo modo di relazionarsi con Dio.
Un modo lontano anni luce dal legalismo eppure rispettoso della legge intesa come esperienza coagulata del popolo; un modo estraneo alle esteriorità eppure manifestato con grande naturalezza; un modo (paradossalmente!) lontano dal protagonismo eppure disposto a compiere gesti eclatanti che testimonino la veridicità delle parole. Gli apostoli vedono nel rapporto che Gesù ha con Dio, un modo nuovo di relazionarsi, di intendere la fede, di vivere la spiritualità. Dapprima i dodici e la folla identificano Gesù con un Rabbì, uno dei tanti maestri spirituali da sempre presenti nella storia. Poi, piano piano, capiscono che ciò di cui Gesù parla è esperienza, non riflessione e, stupiti, intuiscono che il Rabbì Gesù è un Profeta, forse il Messia. Ma lo stupore totale, fresco, ininventabile, nasce dopo la Pentecoste, sigillo della reale e corporea risurrezione di Cristo.

Gli apostoli capiscono che Gesù non è soltanto il Messia, è la presenza stessa di Dio, come se Dio fosse venuto in Gesù a raccontarci il suo vero volto. E così è, Giulia: Gesù è il Rivelatore del Padre e può parlare di Dio in quel modo solo perché Lui e il Padre sono una cosa sola ed egli proferisce le parole stesse di Dio. Gesù stesso si identifica con Dio (è il motivo della sua condanna a morte!) e a leggere senza pregiudizio i Vangeli si resta stupiti delle continue allusioni all’intimità e alla identità che Gesù ha con Dio Padre.Io credo questo, Giulia: che Gesù di Nazareth è la presenza incarnata di Dio. Dopo essersi rivelato agli uomini attraverso l’esperienza del popolo di Israele, Dio viene in mezzo a noi per raccontarci chi è, per fare amicizia, per stipulare un’alleanza, un contratto di amore e solidarietà.

Io credo che Gesù è il rivelatore del Padre e che non possiamo più inventarci un Dio diverso da quello che Gesù è venuto a raccontarci e che possiamo, nello Spirito che appartiene a Dio, che è partecipe della divinità, vivere qui e ora la presenza di Dio. Credo che Gesù sia venuto a svelare, meglio: a ricordarci la nostra profonda dignità, la nostra essenza, a quella di essere amati ed eletti figli di Dio.Io credo ciò che da duemila anni, a fatica, credono i cristiani, con gioia e stupore. E tu?

don Paolo