Cara Giulia,
ti ringrazio sinceramente di ciò che mi hai scritto come risposta alla riflessione sul dolore. Credo che tu abbia colto in pieno un aspetto caratteristico del cristianesimo: quello di credere in un Dio che non dà una soluzione al dolore, ma che sa cos’é il dolore. D’altra parte, e lo vedi bene, la sofferenza è un aspetto troppo importante per noi per poterlo liquidare in due battute.
Mi parli con grande delicatezza della morte di tua sorella, quando tu eri bambina, e della enorme sofferenza che questo tragico avvenimento suscitò in casa tua. Sono certo che questa storia, che ti ha accompagnato per tutta la vita, ti abbia convinto dell’aspetto misterico che avvolge la malattia e la morte. Le domande che poni, quasi sottovoce, sono quelle che abitano il cuore di ogni uomo: “Mi rendo conto – scrivi – che siamo arrivati al cuore stesso del problema di Dio e della vita: la ragione della morte. Siamo seri, don: o non ci pensiamo o diamo una risposta al perché della morte. E le risposte sono due: o non c’è nulla e la vita è una presa in giro, perché abbiamo nel cuore cose più grandi di noi e l’uomo è l’unico animale che non vuole morire, o c’è un senso e va trovato.
Per me, ti posso dire che non mi è nulla di più alieno di una fredda riflessione stoica o cinica: la morte mi fa paura”. Hai già dato una risposta da te stessa.
Certo è che il nostro mondo tende a esorcizzare la morte ignorandola. Nel mio mestiere ho spesso a che fare con la morte e – credimi – vedo quale tragicità scatena la morte di una persona cara in chi non si è mai posto il problema. Sulla morte possiamo dire poco. La nostra esperienza è limitata e anche gli sforzi di attingere nel paranormale o in fenomeni particolari danno scarsi risultati e comunque coinvolgono la fiducia in chi ne parla. Ti posso raccontare, se vuoi, di ciò che la Chiesa crede, sulla Parola di Gesù.
Gesù ci ha svelato il volto di un Dio di tenerezza e di misericordia, come riflettavamo poco tempo fa. Questo Dio è un Dio che ama la vita e ci ha creato immorali.
Dici bene quando scrivi che il desiderio di infinito che portiamo nel cuore è immotivato e che siamo gli unici esseri viventi che si ribellano alla morte. E’ mai possibile che la misura del nostro desiderio, del nostro amore, della nostra ricerca di bene, della nostra sofferenza siano incolmabili? Che siamo esseri con desideri infiniti, incontentabili e che, perciò, siamo uno scherzo della natura? Un gioco crudele di divinità sadiche? Gesù ci dice che siamo creati immortali e che il nostro cuore si riposerà solo in Dio.
Crediamo che la dimensione che viviamo sia solo una parte della nostra vita e del nostro sviluppo.
Crediamo che ci ritroveremo tutti in Dio, se lo desideriamo, per concludere questo cammino di pienezza, per finire luce nellla luce, pieni nel Tutto, restando unici nella nostra individualità. San Paolo usa l’immagine del parto per indicare la morte, e colgo sempre più la genialità.dell’immagine. Siamo feto, in questa vita. Uomini ma non ancora pienamente uomini e il parto, che è la morte, è un avvenimento doloroso: chiedilo a tua madre! Ma è per una vita nuova questo parto, per una pienezza che è continuità del nostro stato, eppure luce e totalità. Vedi, Giulia, non è vero che non capiamo la sofferenza. Ci è insopportabile la sofferenza inutile.
La morte, per noi cristiani, è questo arrivederci nelle braccia del Padre. Anche qui però, nel cesello d’amore che è la nostra vita, possiamo scegliere di riconoscere questa presenza, di accettare questo abbraccio, o di rifiutarlo. L’eternità è già cominciata, va solo riconsociuta.
Alla prossima, ciao
don Paolo