Forse il nostro Natale più strano. Forse quello più dolente.
Perché giunge nel cuore della pandemia, in questa terra di mezzo che ci sta sfiancando da mesi e mesi e che ci ha tolto certezze, abitudini, quotidianità.
E forse anche la speranza.
Abbiamo saltato Pasqua. E Pentecoste. Mai avremmo immaginato di celebrare un Natale azzoppato, senza abbracci, senza vacanze, senza messe cantate e presepi viventi.
E sfogliare i quotidiani indurendo il cuore, per sopravvivere, davanti alle notizie che ci giungono dal fronte degli ospedali e quei morti, oltre sessantamila, che crescono ancora…
Eppure.
A vederlo bene questo può diventare il miglior Natale della nostra vita.
Tolto il contorno, resta la pietanza, l’essenziale, l’inaudito di Dio.
Dio c’è. Ed è qui. In questo nostro momento così particolare.
Accadde che
Una giovane coppia giunge a Betlemme, la città che ha visto nascere il re Davide.
È un censimento ad averli portati laggiù, forse un censimento regionale, un modo che, da sempre, i potenti hanno di manifestare la loro autorità per imporre i tributi.
La donna aspetta il suo primogenito e viene accolta in casa di qualche parente (inimmaginabile che fossero rifiutati con il senso sacro dell’ospitalità nel mondo orientale!), ma per tutelare il suo pudore partorisce nel retro della casa, normalmente costituita da un unico vano, là dove si custodivano gli animali di piccola taglia e le derrate alimentari, la cassaforte di ogni abitazione.
La scena si sposta all’esterno, da un gruppo di pastori che passano le giornate e le notti, da marzo ad ottobre, nei brulli pascoli della Giudea. Non i pastorelli dei nostri presepi, ma persone poco raccomandabili indurite dal lavoro, che rabbini del tempo paragonano ai pubblicani, considerati bugiardi (non potevano testimoniare ad un processo) e inaffidabili.
Loro ricevono l’annuncio: gli sconfitti, i perdenti, i condannati.
Non i sacerdoti di Gerusalemme, tutti presi dal funzionamento del ricostruito tempio per aspettare davvero un messia inopportuno.
Non Erode, che ha ottenuto il trono con determinazione e ferocia, e che vede nel Messia un pericoloso concorrente.
Non la brava gente di Gerusalemme, tutta presa dalla quotidianità. […]
Commento al Vangelo del 25 Dicembre 2020
Natale del Signore – Notte
Is 9,1-3.5-6; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
Natale sei tu
Forse il nostro Natale più strano. Forse quello più dolente.
Perché giunge nel cuore della pandemia, in questa terra di mezzo che ci sta sfiancando da mesi e mesi e che ci ha tolto certezze, abitudini, quotidianità.
E forse anche la speranza.
Abbiamo saltato Pasqua. E Pentecoste. Mai avremmo immaginato di celebrare un Natale azzoppato, senza abbracci, senza vacanze, senza messe cantate e presepi viventi.
E sfogliare i quotidiani indurendo il cuore, per sopravvivere, davanti alle notizie che ci giungono dal fronte degli ospedali e quei morti, oltre sessantamila, che crescono ancora…
Eppure.
A vederlo bene questo può diventare il miglior Natale della nostra vita.
Tolto il contorno, resta la pietanza, l’essenziale, l’inaudito di Dio.
Dio c’è. Ed è qui. In questo nostro momento così particolare.
Accadde che
Una giovane coppia giunge a Betlemme, la città che ha visto nascere il re Davide.
È un censimento ad averli portati laggiù, forse un censimento regionale, un modo che, da sempre, i potenti hanno di manifestare la loro autorità per imporre i tributi.
La donna aspetta il suo primogenito e viene accolta in casa di qualche parente (inimmaginabile che fossero rifiutati con il senso sacro dell’ospitalità nel mondo orientale!), ma per tutelare il suo pudore partorisce nel retro della casa, normalmente costituita da un unico vano, là dove si custodivano gli animali di piccola taglia e le derrate alimentari, la cassaforte di ogni abitazione.
La scena si sposta all’esterno, da un gruppo di pastori che passano le giornate e le notti, da marzo ad ottobre, nei brulli pascoli della Giudea. Non i pastorelli dei nostri presepi, ma persone poco raccomandabili indurite dal lavoro, che rabbini del tempo paragonano ai pubblicani, considerati bugiardi (non potevano testimoniare ad un processo) e inaffidabili.
Loro ricevono l’annuncio: gli sconfitti, i perdenti, i condannati.
Non i sacerdoti di Gerusalemme, tutti presi dal funzionamento del ricostruito tempio per aspettare davvero un messia inopportuno.
Non Erode, che ha ottenuto il trono con determinazione e ferocia, e che vede nel Messia un pericoloso concorrente.
Non la brava gente di Gerusalemme, tutta presa dalla quotidianità. […]
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