Santissima Trinità

Es 34,4-9/ 2Cor 13,11-13/ Gv 3,16-18

Scommettiamo?

Sia, le cose stanno cambiando. E velocemente.

Se ne accorge chi la Chiesa la ama. E la serve, e la abita.

Se ne accorgono i parroci che mi scrivono, che incontro, con cui chatto. Ma anche i tanti (beneamati) laici che soffrono nel vedere molte contraddizioni e incongruenze. E, a saperli leggere, i segni dei tempi ci sono e, a voler smettere di fare i brontoloni, anche il Sinodo sta smuovendo le cose, dando la parola a chi, troppo spesso, nella Chiesa viene ignorato.

Occhei diamo per acquisito che il mondo che abbiamo conosciuto, quello del cristianesimo come riferimento per tutti, è alle spalle. E che quello che viviamo è un inesorabile declino di una forma di cristianesimo. Ma non lo è del desiderio di Dio e del Vangelo che, intatto, brucia e ustiona i cuori.

E ammettiamo che sì, alla fine stiamo diventando minoranza. Nell’idea stessa di concepire la fede come un discepolato, non come un vestito da indossare nelle cerimonie della vita.

Ma da dove ripartire?

Da chi o cosa? Come riportare l’annuncio al fuoco, come parlare di Cristo ai cristiani?

Come obbedire all’imperioso comando di Cristo di renderlo presente in questo tempo di mezzo? Lasciando agire lo Spirito, ovvio (mica tanto ovvio). Riaccendendo i cuori.

Ma, anche, ripartendo dalle relazioni. 

Facendo delle comunità dei luoghi in cui, sul serio, davvero, ripartiamo da Dio.

Ma dal Dio di Gesù, non quello approssimativo del nostro cattolicesimo annacquato.

Un Dio che danza.

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