Ventitreesima domenica durante l’anno

Is 35,4-7/Gc 2,1-5/Mc 7,31-37

Balbuzie

Essere sordi, nella Bibbia, significa non accogliere il messaggio di salvezza di Dio.

È Israele, di solito, a manifestare sordità, come ci ricorda la prima lettura di Isaia.

Anche noi, travolti dalle mille cose da fare, attorniati da rumori, da chiacchiere, da opinioni, storditi e diffidenti, impauriti e stressati dopo un anno e mezzo di pandemia, fatichiamo ad ascoltare il desiderio profondo di senso che portiamo nel cuore, fatichiamo a sollevare lo sguardo, fatichiamo a cercare Dio.

Basta farsi un giro sui social in cui tutti esprimono opinioni rabbiose, offensive, trancianti. Il confronto sulle idee si è trasformato in un clima di rissa continua, sostituendo alla fermezza una cattiveria rabbiosa, dando spazio a dietrologie, complottismi, sbandamenti.

Siamo sordi, verso Dio, verso i fratelli, verso noi stessi, incapaci di ascoltare la nostra anima.

Non sappiamo più comunicare, usando parole pesanti, urlando, insultando.

Sordi. E muti.

Proprio come il protagonista del vangelo di oggi definito, nel greco particolare di Marco, un sordo/balbuziente, che non riesce a farsi capire, che stenta a relazionarsi, destinato ad una chiusura al mondo esterno.

Immagine dell’uomo contemporaneo, solo e narcisista, smarrito e alla ricerca di una qualche visibilità, tutto incentrato nella propria (improbabile e sempre più inaccessibile) realizzazione.

L’insoddisfazione è la caratteristica principale dell’uomo post-moderno.

E la nostra. La mia.

Non riusciamo ad ascoltare, non riusciamo più a farci ascoltare. […]

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