Corpus Domini

Es 24,3-8/Eb 9,11-15/Mc 14,12-16.22-26

La mia stanza

Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i midi discepoli?

È qui la tua stanza, Signore, non andare oltre.

Qui, nella mia vita piccina e intricata, zoppicante e goffa, incoerente e fragile.

Non è una grande stanza, ma è tua. Non è molto luminosa, ma è tua.

Ed è arredata e pronta ad accoglierti, da sempre.

La stanza della mia anima, dei miei pensieri segreti, delle mie ambizioni, dei miei desideri.

Tutto ciò che di vero ho scoperto in me è in quella stanza.

E tu, ora, dici che ne hai bisogno.

Che hai bisogno di me per celebrare la Pasqua.

Per compiere quell’ultimo, folle, inaudito, impressionante gesto che è la Cena consumata con i tuoi amici. L’ultimo gesto. Il vertice.

Una cena semplice. Nessuno sfarzo, nessuna magia, nessuna cerimonia.

Una stuoia al centro. Piatti in coccio su sgabelli. Piccole lampade ad olio.

E la memoria di Pesah, di quella liberazione che ha smosso tutti.

 

I discepoli non hanno capito, tutti presi dalle loro beghe e dalle loro fantasie.

La missione è fallita, clamorosamente.

Non ti ha accolto la Gerusalemme che uccide i profeti.

Le folle plaudenti della Galilea non ti hanno seguito fino a quassù.

E i tuoi più stretti amici non sanno nemmeno da che parte sono girati.

Invece di disperarti, di gettare la spugna, di fare l’offeso, come avrei fatto io, certamente, ti inventi il modo più inatteso per stare con noi.

Eri buono come un pezzo di pane. E un pezzo di pane sei diventato.

La tua presenza era come un vino inebriante. E vino sei diventato.

Se solo ci credessimo![…]

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