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In quel tempo. Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”. In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. Tutti i profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi, ascolti!».
È talmente diverso, Dio, da ciò che immaginiamo, talmente destabilizzante la sua presenza, originale, inattesa, che anche un profeta come Giovanni resta spiazzato.
Giovanni nasce e cresce con un’unica missione: preparare la strada al Messia, annunciare la sua venuta, scuotere Israele perché non perda questa ultima, definitiva chiamata.
E invece. Gesù contraddice l’idea di Messia che anche Giovanni si è fatta: non viene per tagliare l’albero, né per gettare nel fuoco la pula, né per dividere i buoni dai cattivi.
Un malconcio Battista, dalle carceri di Macheronte, manda un proprio discepolo a chiedere a Gesù: sei veramente tu? Anche noi, spesso, siamo colti da questo dubbio: è davvero Gesù colui che ci
salverà o dobbiamo aspettarne un altro? La risposta di Gesù è un invito alla fede, a spalancare lo sguardo interiore, a riconoscere i segni della presenza di Dio nella sua vita.
Dio non è mai evidente, amici, non è mai palese, non è mai come lo vorremmo. E solo se sappiamo aprire il nostro sguardo lo possiamo riconoscere. Animo, cercatori di Dio, che aspettate la salvezza, non dobbiamo aspettare nessun altro Messia, solo riconoscerlo nell’oggi che ci è donato.
Gesù poi commenta l’apostolato di Giovanni Battista, destinato ad essere ucciso dai capricci di una concubina e dall’ignavia di un re-fantoccio e dice: il Regno soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono. La storia ce lo insegna: coloro che vivono con verità al ricerca di Dio, nella mitezza e nella pace, subiscono violenza e persecuzione. Anche noi, nel nostro mondo civilizzato, corriamo il rischio di essere soggetti a prese in giro e a giudizi impietosi per il fatto di essere persona in ricerca. Ma, aggiunge Gesù, occorre violenza per impadronirsi del Regno, occorre tenere duro, faticare con la parte oscura di sé, avere il coraggio della conversione. Credere comporta una fatica, una concentrazione, una scelta da operare continuamente.
I profeti ci aiutano a vedere ciò che ancora non c’è, a dare un’interpretazione agli eventi e alla storia che sfugge alla ragione. Come diceva san Paolo: noi fissiamo lo sguardo sulle cose invisibili, perché restano.
In questa giornata guardiamo oltre, guardiamo l’altrove per dare una lettura diversa a ciò che accade.
Paolo Curtaz