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In quel tempo. Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che il Signore Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Festa di che?
“Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” dice oggi il Signore a noi dubbiosi apostoli.
“Io sono con voi”, e se ne va; ascende al cielo, gli angeli ci invitano a staccare gli occhi dal cielo per guardare bene la terra, ci chiedono di smettere di pensare, come gli apostoli, che ora, finalmente, iniziano i festeggiamenti.
Nel momento della conversione alla gioia, superate tutte le tristezze, finalmente pronti ad essere discepoli secondo il cuore del Maestro, assaporando già il Regno di Dio, consapevoli del cammino fatto e della capacità acquisita di vivere bene il Vangelo ora che la croce è superata, il Signore se ne va.
Che delusione!
Una festa bislacca
Cosa c’è da festeggiare, scusate?
Bisogna far lutto e piangere: il Signore Gesù se ne va, per sempre.
Pensavamo di averlo perso, lì appeso alla croce.
Lo abbiamo riavuto, abbiamo tribolato per credere alla resurrezione ed ora che finalmente lo possiamo nuovamente ascoltare, egli torna dal Padre fino alla pienezza dei tempi.
C’è da essere in lutto, altro che!
Con l’Ascensione finisce un’epoca, un momento, una storia.
La storia dell’uomo Gesù, del suo aspetto, del suo sorriso, del suo sguardo profondo.
Non potremo più sentire la sua voce che chiama per nome Tommaso e Maria, non ammireremo più la sua pazienza mentre dialoga animatamente con i due testoni di Emmaus. Neppure potremo più, commossi, guardare la passeggiata del Maestro sulla riva del lago mentre prepara il pesce per i discepoli sconfortati e che – ancora – riempie il cuore frantumato di Pietro.
Finish, stop, finito.
Se guardiamo in fondo ai nostri cuori dubbiosi, se siamo onesti fino in fondo, dobbiamo riconoscere che questo finale, nuovamente, non ci soddisfa per niente.
Se Gesù fosse restato glorioso nei secoli, non sarebbe andata meglio invece di faticare con questa baracca che è la Chiesa?
Se lo avessimo ascoltato per radio o dal satellite ogni giorno, non avrebbe ottenuto maggiore fede e amore?
No, Signore, proprio non ti capiamo. Ora che le cose potevamo funzionare, ci molli due a zero e torni dal Padre. Uffa!
Diventare adulti
Lo avete pensato, vero?
Anch’io, molte volte.
Tutte quelle volte che vorrei delegare a Dio il cambiamento di questo fragile mondo, tutte le volte che non riesco a riempire il mio fragile cuore, tutte le volte che vorrei un Dio che mi risolve i problemi, che mi soffia il naso.
Tutte le volte che non voglio decidermi a crescere, a credere in questo Dio che crede in me e in voi, amici.
E invece no, Gesù, tornando al Padre, lascia nelle mie mani il tesoro, consegna alla mia voce la sua buona novella, affida alle mie mani le carezze che egli, ora, non può più donare.
Il Signore se ne va per restare in mezzo a noi, vivo, come ci diceva domenica scorsa, vivo.
Vivo e incontrabile proprio perché tornato presso il Padre, senza più legami, né confini, vivo e incontrabile nell’interiorità e nella preghiera, nel silenzio e nella pace, nella Parola e nell’eucarestia.
Ma vivo e incontrabile (e ciò è molto più difficile) anche nel mio sguardo, nel mio sorriso, nel mio desiderio di fare comunità.
L’Ascensione non è solo la fine di un tempo che non torna, ma l’apertura verso una nuova dimensione.
Nel Vangelo di Matteo le ultime parole di Gesù sono straordinarie: “Ecco, io sono con voi sempre”.
Ci crediamo davvero?
Dio ci invita a diventare adulti, ad essere noi il suo volto risorto, in questa settimana.
In Dio c’è Gesù
In Dio Trinità c’è l’uomo Gesù di Nazareth: un uomo in carne ed ossa, trasfigurato, è ormai presente nella Trinità.
E’ il supremo sigillo dell’Incarnazione: la nostra umanità, assunta dal Figlio di Dio, è piena di gloria e di dignità.
La nostra carne, le nostre storie, io stesso, sono diventato dimora di Dio.
Occorre recuperare il senso della dignità, senso che ci porta ad avere un senso di rispetto infinito (divino) per ogni uomo, per ogni donna. In questo mondo in cui la corporeità è esaltata solo se perfetta, tempo in cui si mascherano i segni dei tempi sui volti delle persone, abbiamo questa bella notizia da portare: corporeità è luce, è bellezza, è promessa di eternità.
Questo Dio che ha assunto su di sé la fragilità e la caducità dell’essere umano, assume e trasfigura il limite.
Non possiamo più dire: “Dio non sa”.
Dio ora sa.
Sa della bellezza dell’aurora, dell’aria frizzante della primavera, della gioia del ridere con gli amici.
Sa del dolore della morte, sa dell’angoscia dell’abbandono.
Sa.
Dio conosce, amici.
Dio ti conosce, ora.
Per amore ha abbandonato la sua eternità e ora, in sé, possiede un corpo umano, risorto e trasfigurato, certo, ma sempre un corpo.
A pensarci bene non è poi così male questa festa!
Paolo Curtaz