I miracoli

Il capitolo cinque del Vangelo di Marco è un piccolo gioiello. Abbiamo già visto, qua e là, alcuni miracoli intercalati al ministero di Gesù. Ora Marco li organizza intorno a un discorso organico: sono una serie di quattro miracoli successivi che dimostrano la veridicità dell’annuncio su Gesù. E’ importante capire l’approccio da cui parte Marco: il miracolo è finalizzato all’annuncio del Regno e dimostra che Gesù compie ciò che dice, non è un venditore di fumo. Gesù restituisce la dignità all’uomo: sul cosmo, sull’impurità, nella malattia che isola e nella morte.

Prima di leggere i miracoli, voglio dire due parole sul significato del miracolo nel vangelo. Sambra strano, eppure Gesù non è un ‘miracolista’, un guaritore; cioé non usa del suo potere per strabiliare, per forzare la fede di chi gli sta dinnanzi. Siamo in un tempo di miracolismi e apparizioni: quanti cristiani corrono di qua e di là alla ricerca dell’ultima apparizione, alla stregua dell’ultimo santone, anche cristiano. Parrà strano, ma Gesù non è così. Il miracolo è inserito in un contesto di annuncio, manifesta la veridicità della parola di Gesù. Vi siete mai chiesti perché Gesù ha sì guarito dei lebbrosi e risuscitato dei morti, ma solo una minima parte rispetto a quelli che circolavano in Palestina ai suoi tempi? So che è un discorso delicato e ambiguo, ma Gesù sa che la guarigione non è tutto. Spesse volte Gesù prima di un miracolo chiede: “Cosa vuoi che ti faccia?”. Che fegato! Tutti noi diremmo: “Ma non vedi che è cieco? Che è lebbroso?”. No, Gesù sa che la guarigione è importante, ma non essenziale. Ricordate i dieci lebbrosi guariti? Uno solo tornò a ringraziare. E Gesù annotò che dieci erano stati sanati ma uno solo salvato. Ripeto: è un discorso delicato e un pò da ‘sano’, ma Gesù lo fa. Conosco persone molto ammalate con una pace nel cuore incredibile e ragazzi sanissimi che si perdono in un buco di eroina… No, amici, davvero la salute non è tutto, la salvezza sì!

Ma veniamo ai nostri miracoli: Gesù placa la tempesta, in seguito libera l’indemoniato Geraseno (con il simpatico affogamento di duemila porci!), infine incrocia due miracoli: la donna che soffre di emoraggia e la risurrezione della figlia di Giairo. Non abbiamo il tempo di approfondire i quattro miracoli, vi faccio solo notare alcune particolarità di ogni singolo racconto.
Nella tempesta sedata (4,35-41), il tema principale è la domanda finale degli apostoli che si chiedono: “Chi è mai costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?”. La Signorìa di Cristo sul Cosmo ristabilisce l’armonia interrotta dal peccato dell’uomo. Abbiamo bisogno di ritrovare l’armonia con il Cosmo, spesse volte distrutta dalla nostra bramosia. Questo brano è anche stato letto come un’immagine della nostra vita interiore. Vi è mai successo di avere l’impressione di essere in tempesta? Di vedere la barca della vostra vita miseramente affondare? Di avere l’impressione che Dio dorma? Così è successo agli apostoli, abbiate fede! Non spaventatevi, anche se pare che dorma, Dio è sulla nostra stessa barca. Le due annotazioni iniziali ci rassicurano maggiormente: Gesù invita a passare all’altra riva. Se siamo inchiodati a terra, nelle nostre convinzioni e nei nostri pregiudizi, state pur certi che non incontreremo nessuna tempesta. La strana annotazione: “lo presero (Gesù) sulla barca così com’era” è simpaticissima; prendiamo Gesù con noi così com’é, senza dirgli noi cosa deve fare. Noi lo accettiamo com’é, lui ci prende così come siamo.
Il secondo racconto (5,1-20) è più complesso: sottolineo due elementi straordinari. Il primo: l’indemoniato nei sepolcri si percuote, si getta nel fuoco, insomma si fa del male. Quasi come se Marco insinuasse che quando ci facciamo del male, quando ci tiriamo le pietre addosso, quando coltiviamo la disistima, è un’opera mortifera (i sepolcri) origine del demonio. Nel mio apostolato l’ho sperimentato mille volte: la disistima ci impedisce di vivere con serenità il nostro rapporto di fede, e ci buttiamo a terra non credendo all’amore che Dio ha per noi… In secondo luogo, dopo aver fatto affogare i duemila la porci, la gente, spaventata, invita Gesù ad andarsene da quel paese. Certo: erano spariti quattromila prosciutti! L’uomo, spesse volte, è più legato al suo portafoglio che alla vita di fede!
Nel terzo e quarto racconto, che si intrecciano (5,21-43), troviamo la situazione dell’emoroissa e della figlia di Giairo. E’ interessante vedere l’allibita risposta degli apostoli quando Gesù chiede “Chi mi ha toccato?”. Che bello! In molti lo stavano toccando ma una sola, l’emoroissa, viene guarita, e Gesù annota che una *dynamis*, una potenza è uscita da lui. Gesù annoterà che la fede di questa donna ha provocato questa unione profonda. Solo nella fede possiamo essere riempiti dell’energia del Signore (lo Spirito?). Senza fede, il nostro contatto con Gesù è sterile. Secondo la legge ebraica la donna mestruata era impura e perciò non poteva entrare al Tempio. Figuratevi una donna che soffriva di perdite da vent’anni! E’ una situazione di malattia infamante, come la lebbra, che recide dalle relazioni con gli altri e taglia dal contesto sociale. Un’ultima annotazione rispetto alla strana reazione delle donne che prendono in giro Gesù. Tranquilli! Troviamo qui un’usanza diffusa ancora nei paesi del Sud Italia: persone stipendiate per fare lutto e che perciò non erano poi così coinvolte dagli avvenimenti. Troveremo le stesse persone che piangono su Gesù condannato a morte e che vengono ben bene redarguite, ma lo vedremo…

Cos’hanno in comune questi quattro racconti all’apparenza così diversi? Semplicemente la fede. Alla proposta di Gesù si risponde con la fede, alla Buona Notizia si aderisce credendo. Per tre volte la parola ‘fede’ viene usata:
“Non avete ancora fede?” (4,40) rivolto agli apostoli, “Figlia la tua fede ti ha salvata” (5,34) all’emoroissa e “Non temere, continua solo ad avere fede!” (5,36) a Giaro che piange la morte della figlia. Gesù ci invita a riflettere sulla fede come atteggiamento di risposta al suo annuncio.
Ma: cos’é questa fede?
Non è un’adesione intellettuale a delle verità, come vedete, ma un atto di abbandono totale e definitivo alla volontà di Dio. Troppo spesso nel passato si è concettualizzata la fede (imparare le verità di fede) dimenticandone l’aspetto emotivo e passionale. Credere è tuffarsi, aderire pienamente, coinvolgersi in momenti fondamentali della vita. E a chi crede Gesù restituisce armonia e dignità con la natura, con se stessi, con la malattia che separa e con la morte.
Sento spesso delle obiezioni rispetto alla fede. la prima è “Credo solo a ciò che vedo” messa in bocca agli ultrascettici. Annoto subito la contraddizione: non si ha bisogno di credere, di fidarsi davanti all’evidenza delle cose, quindi è impossibile credere se si vede. Se si vede si constata. Comunque… In realtà questa obiezione nasconde una certa diffidenza verso tutto ciò che è spirituale, non verificabile. Eppure la nostra vita è piena di gesti di fiducia! Vi fidate, ad esempio, dell’ingegnere che ha calcolato questo tetto: altrimenti usciremmo… Vi fidate del panettiere che stamane ci ha preparato il pane, altrimenti digiuneremmo … Insomma: la vita è costellata di gesti di fede tra di noi, perché non ammetterne uno verso Dio?
Una seconda obiezione, diffusa soprattutto nei giovani, è l’idea che la fede sia infantile, un gesto riservato alle persone semplici, un po’ primitive… non era già l’obiezione degli illuministi? Oggi nessuno studioso serio avvalla questa ipotesi. Anzi, il mondo del soprannaturale è sempre più al centro dell’attenzione e numerose personalità del mondo scientifico si dichiarano credenti. Certo: la fede può essere un rifugio, un’anestesia, un oppio, ma questo non è la fede che chiede Gesù Cristo. Gesù vuole uomini, non statuine, persone consapevoli e attive che gli diano una mano nel cambiare il volto del mondo.
Infine un’obiezione per chi crede: “Ho poca fede”. E allora? La nostra vita è cammino, la nostra vita è una crescita nella fede, perché averne paura? incontreremo tra poco l’esperienza del padre del ragazzo epilettico che confessa la sua poca fede. Animo!

E concludo. Questa sezione dei miracoli in Marco ci invita a riflettere sulla qualità della nostra risposta al Signore. L’accoglienza del vangelo ci apre alla speranza e ci cambia il cuore. Ma può anche essere occasione di persecuzione, come vedremo subito…

(da “Il Gesù di Marco” riflessioni, 1994)