Racconto di Natale

Per alcuni anni ho scritto un racconto di natale da destinare agli amici più intimi. Chissà che non troviate qualche buona idea! Don Paolo

“Ho deciso di suicidarmi.
Non lo faccio per disperazione e neppure é una decisione affrettata, né presa in un moto di rabbia o sconforto. No. E’ difficile da spiegare le mie ragioni (ma esiste una ragione, dopo tutto?), così come in questi anni é stato difficile comunicare tutto ciò che il mio mondo interiore viveva di sensazioni, sussulti e sentimenti, talora da essi cullato, ma il più volte da essi travolto. Un animo ricco il mio, certo. Quante volte mi é stato detto: come sei così pieno di sensibilità, di capacità, così pieno di successi. Eppure, in fondo, di questi miei trent’anni non rimane che la nostalgia. Una nostalgia profonda, melanconica, tersa nei meandri più nascosti del mio cuore. Una nostalgia che né voi, papà e mamma, né Giulio, né Carla (che pure amo) avete colmato. Certo, non per causa vostra, no. E’ il segno, il segno di Caino, il segno della maledizione che grava il cuore alcune persone (Demian di Hesse, ricordate?) e che le allontana irrimediabilmente a vagare tra i popoli, inquiete, senza pace, senza nulla. Che sciocco. A chi importa di questi miei raffinati pensieri? La gente vive d’altro, di ben altro. Ieri, alla cena di classe, dopo tanti anni ho rivisto i miei compagni: con le loro donne, le loro barbe, un accenno di pancia, l’auto nuova (Alessandro ha uno di quei macchinoni terribili da Camel Trophy) le mille banalità, le allusioni al sesso, una falsa (o vera, la loro?) felicità. E lì, più che mai, mi sono smarrito, perso in questo giardino interiore che ormai, come edera verdeggiante, raggiunge e soffoca ogni prospettiva.
Mi spiace, un po’. Oh: niente sensi di colpa, per carità, solo un lieve sussulto di dolore per lo sconforto che vi provoco. Muoio di nostalgia, di cosa non lo. Chissà, forse dell’Amore intravisto e mai raggiunto, della Pienezza agognata e crudelmente allontanata (come novello Sisifo).
Per tutto questo, e per molto di più, ho deciso di suicidarmi.
Ciao, Marco. “
Ripiegò la lettera senza rileggerla, con movimenti lenti. La imbustò, la incollò, scrisse in bella grafia: “papà”, poi la infilò sotto il nastro di un bel pacco rosso, che depose accuratamente insieme agli altri pacchi sotto l’albero di Natale che spandeva una colorata luce intermittente nella stanza. Spense la musica, interrompendo un Notturno di Chopin, si infilò il loden, la sciarpa, i guanti, aprì l’uscio, poi, con un attimo di esitazione, si girò, guardando il salotto che l’aveva visto crescere, e chiuse la porta dietro di sé. Per l’ultima volta.

Si dondolava nervosamente sulla poltrona dirigenziale in pelle nera, sfogliando un voluminoso dossier rilegato. A tratti si lasciava sfuggire dei sommessi “non é possibile”, “questa poi” e altre allocuzioni del genere. L’uomo, sulla cinquantina, anche se la barba curata irrimediabilmente bianca lo invecchiava, cravatta slacciata, senza giacca, mordicchiava la pipa da cui periodicamente faceva uscire giocosi sbuffi di profumatissimo tabacco.
Finito il fascicolo, lo appoggiò sulla scrivania, prese il telefono e chiamò: “Signorina, voglio qui subito il responsabile del caso Ruzzi, e non mi importa se é la Vigilia di Natale!”

Cosimo bussò ed entrò, anche se sapeva che il suo capo era di pessimo umore.
“Allora?” disse con veemenza mostrando il dossier.
“Bhé, non so che dire, é un caso molto complesso, lo seguo da anni, ho organizzato mille occasioni per sbloccare la situazione, ma non mi é riuscito di fare nulla …”
“Precedenti? Cause? Problemi?”
“No – continuò sommessamente Cosimo – normali incomprensioni con i genitori, ma per il resto molto equilibrato: ottima preparazione scolastica, una ragazza a cui vuole bene, parecchio talento artistico … “
“E allora?” insistette il capo
“Non so … l’ho fatto vedere ai miei superiori … dicono che é mal di vita, chissà, forse troppa sensibilità, troppa intelligenza, magari un po’ di psicanalisi avrebbe potuto …”
“Non se ne può più di voi studentelli! – urlò alzandosi dalla poltrona l’uomo barbuto – studiate, pianificate, progettate, e poi? Ecco i risultati! Lo sapevo io che era così! Sempre noialtri della vecchia guardia a riparare i vostri danni, le vostre incompetenze!”
Vi fu un attimo di imbarazzo. Poi un silenzio grave.
L’omone si fermò pensando. Si avvicinò a Cosimo, che si era fatto piccino, piccino, gli diede una manata sulla spalla, distensiva e amichevole e con un sorriso bonario disse: “E sia, si lavora anche alla Vigilia! Chiamami una squadra di Pronto Intervento, subito!”

“Fine”.
Lo schermo divenne nero e si accesero le luci in sala. Poche persone, qualche coppietta, un bisbiglio sommesso, nulla di particolare.
Luca, profondamente scosso dal film, esitò ad alzarsi. Poi, vedendo che era rimasto solo, si riprese e si alzò, uscendo da quel piccolo cinema di periferia e infilandosi nel freddo della notte per raggiungere casa.
Scosso, molto scosso, pensava dentro sé. “L’Abbé Pierre, che uomo! Che carisma! Che bel film! E che fotografia! Si sa, i francesi, quando ci si mettono … Ha fatto bene Laura a dirmi di venire, a dire che era bellissimo, adesso devo trovare un libro che racconti la sua vita, insomma qualcosa per saperne di più… ” intanto la strada percorsa era parecchia e Luca affrettava il passo per passare a prendere sua madre.
“Signore – pregò – stanotte farò memoria della tua nascita. Cresci dentro me, cresci nella mia preghiera, cresci nel mio cuore, perché ti possa riconoscere e servire nei miei fratelli … Sì, come l’Abbé Pierre”.

L’ufficio dirigenzale era ormai invaso da una fitta coltre di profumato fumo. La stanza si era riempita di più persone, tutte elegantemente vestite, un po’ imbarazzate per la presenza del superiore (che peraltro godeva di ottima fama, malgrado la sua irruenza) e soprattutto per l’imminenza del Natale che li avrebbe visti fuori casa, in pieno lavoro.
Il dirigente smise di scrivere, visibilmente soddisfatto. Porse il foglio a Cosimo. Poi iniziò: “Chi segue Perini?”. Un distinto signore sulla sessantina alzò timidamente la mano. “Ottimo, so che hai vita facile e che lui é quasi cotto. Dovremmo riuscire a prendere due piccioni con una fava. E il sacerdote? “. Un’altro cenno con la mano fece girare lo sguardo di tutti verso una ragazza giovane “ah … ottimo … devi essere in gamba se già ti hanno affidato un tale compito! Ai miei tempi invece … vabbé, non facciamo i piangioni. Devi intervenire subito. E la squadra di meccanici?” “Eccoci” disse un ragazzo in tuta da lavoro. “Bene – disse con una certa solennità il capo – sincronizziamo gli orologi: sono le ventidue e trenta del 24 dicembre. L’operazione ha inizio tra … dieci minuti a partire da ora. Che Dio ce la mandi buona!”

“Mer… coledì, mi fanno continuare il turno!” Il poliziotto si era appena tolto il giubbotto di pelle nera e il casco e guardava l’ordine di servizio. Un collega, passandogli vicino, con una tazza di caffè fumante, gli disse “Guzza ha appena telefonato da casa: ha un febbrone da cavallo e sta male. Dobbiamo sostituirlo e non abbiamo trovato nessuno, non resti che tu … devi tenere duro fino alle sei di domattina” “Già – reagì indispettito il poliziotto – tanto ho preso servizio solo stamattina e in fondo non é che la Vigilia di Natale” “Vabbé – tagliò corto l’altro poliziotto – si vede che sei scalognato. Sei di pattuglia con Gianni sul lungofiume: un modo originale di passare Natale, no?”

Luca entrò in casa tutto infreddolito, ancora assorto dai suoi pensieri sul film visto. Aveva finito di sgranare qualche decina del rosario che teneva in fondo ad una tasca del paletot. La madre era al telefono, già pronta per uscire. “Eccomi mamma, sei pronta?” La madre fece cenno di tacere e continuò la conversazione al telefono: “… da non credersi … e per la Messa di mezzanotte? Ma dimmi … chi lo ha soccorso? Sì certo, conta su di me, starò io in ospedale domani. Ciao, grazie, Buon Natale!”. Posò la cornetta e incontrò lo sguardo interrogativo del figlio. “Un incidente, pensa un po’, a don Gino. Poco fa, mentre era sulla scala a piantare un chiodo per appendere la stella cometa é caduto pesantemente. Si dev’essere lussato la spalla …” “Ma, e la Messa?” chiese Luca. “Bhé, non si fa – riprese la mamma – bisogna andare alla Parrocchia del Sacro Cuore”. “Che scocciatura! – rispose Luca stizzito – Tiro fuori la macchina, allora. Proprio alla Vigilia di Natale! Occorre pure spicciarsi, sennò non arriviamo in tempo!”.

Luca corse in garage, aprì la serranda, salì in macchina e provò a far partire la vettura. Nulla. Non un suono o un gracchio. Batterie a zero. Allungò la mano ai pulsanti del cruscotto e si accorse che le luci erano rimaste accese. “Porc! …” disse colpendo il volante con il palmo della mano “Ci mancava la macchina ferma!”. Corse in casa, confabulò con la madre che disse che non se la sentiva di andare fino al Sacro Cuore a piedi. “Andrò io!” risolse Luca. “Ti conviene passare per il lungo fiume e tagliare al ponte degli Angeli, in mezz’ora ce la fai” gridò dalla porta la mamma a Luca che ormai si era dileguato nella notte sotto la neve che aveva lentamente iniziato a cadere”.

Marco guardava in basso il fiume minaccioso e scuro. Adesso un po’ di paura l’aveva. Aveva freddo. Sentiva il cuore battergli nelle tempie e nella gola. Fece un profondo respiro, salì sul parapetto, e si gettò nel fiume.

Luca sentì il tonfo e, insieme a lui, due poliziotti che avevano visto la scena e che si misero a correre verso il suicida gridando. Ma, nulla, il corpo era già inghiottito dalla fredda corrente e il volto ceruleo di Marco veniva coperto a tratto dalle onde del fiume. Uno dei due poliziotti, senza indugiare, si tuffò nel fiume cercando di nuotare verso il punto in cui la corrente avrebbe probabilmente trascinato il corpo di Marco. Fu un attimo solo, un attimo lunghissimo … il poliziotto riuscì ad afferrare per la giacca il corpo, quasi gli stava per fuggire, ma con un colpo di reni portò addosso al corpo le proprie gambe e, faticando a tenere a galla il volto del giovane, riuscì a raggiungere un muricciolo che in altri tempi serviva da attracco alle chiatte. L’urto col muro fu violento, ma comunque i due malcapitati erano fuori dalle onde. Intanto, correndo a perdifiato, l’altro poliziotto, Luca e alcune altre persone avevano seguito dal lungofiume la scena e subito riuscirono a tirare sul marciapiede i due malcapitati. Luca e un signore si tolsero il cappotto, fregando energicamente il corpo dei due. Il poliziotto, dopo qualche colpo di tosse, sputando acqua, alzò la mano, rassicurando tutti sul suo stato di salute dicendo a fatica “tutto bene, pensate a lui”. Due, quattro, otto mani continuavano convulsamente a fregare il corpo di Marco “Dai, su bello, così, così”. Il volto di Marco, ceruleo, riprese un filo di colore, mentre le labbra nere divennero prima viola e poi rosa. Un colpo di tosse, un altro, poi una lunga sequenza di colpi, vomitando acqua, e alzandosi col tronco. “C’é! C’é!” urlava il poliziotto. Marco guardò tutti, visibilmente scosso, incredulo di essere vivo. Ci fu un pesante attimo di silenzio, tutti proni su di lui. Iniziò il più anziano dei soccorritori, ancora fuori di sé dallo spavento a dirgli “Ma sei pazzo? Così giovane? Ma la vita é bella, Cristo! Ma perché! …” un altro suo vicino riprese la frase ” … ma sì, pazzo, che fai?” e poi un altro e un altro. Luca, urlò più forte di tutti: “Basta! Zitti!”. Tutti tacquero, guardandolo. Si mise in ginocchio, vicino al volto di Marco che lo guardava intontito e spaventato. Luca gli pose una mano dietro alla nuca, e con l’altra prese ad accarezzargli il volto. Piangeva, avvicinava il suo volto a quello di Marco, guancia a guancia, e lo cullava, tra il silenzio stupito di tutti. Poi lo guardò dritto negli occhi, sorrise, e gli disse: “Amico. So che dentro hai un dolore immenso. So che la vita ti sembra inutile e che la vuoi buttare via. So che nessuno mai ti ha parlato del fatto che Dio ti ama e ti chiede di aiutarlo a costruire il suo regno. Se proprio la vuoi buttare, la tua vita, perché non me la regali? Ne ho bisogno, un sacco di gente ne ha bisogno. Buttala via per loro, insieme a me.” Marco lo guardò un attimo. Luca sorrideva ora, senza più piangere. Marco lo guardò ancora, poi scoppiò in un pianto disperato, abbracciandolo.

Sulla scrivania dirigenziale la bottiglia di Champagne era ormai vuota. Tutti, visibilmente soddisfatti, continuavano a chiacchierare. Il dirigente barbuto, cravatta slacciata, maniche avvoltolate, posò la pipa, prese la flute di Champagne e tossicchiò. Tutti zittirono, guardandolo.
“Bhé allora, signori, complimenti vivi. Complimenti a lei signorina, un ottimo lavoro con don Gino”
“Grazie. Certo non é stato facile. Alla fine ho dovuto ricorrere alle maniere forti, ma era l’unico modo per far deviare Luca Perini verso il ponte, facendolo partecipare alla Messa della Parrocchia del Sacro Cuore. ”
“Così – interruppe il capo – quello zuccone di prete sarà costretto a prendersi qualche settimana di ferie”
“E noi – riprese il meccanico – ci siamo dovuti sbrigare a scaricare la batteria, così che Luca non potesse né prendere la macchina, né prendere sua madre. Abbiamo finito un minuto prima che entrasse in garage!”
Tutti scoppiarono a ridere.
“Certo, anche con il poliziotto non é stato facile. Ma era l’unico che sapesse nuotare – disse un signore di mezza età – e credo che l’arrabbiatura gli sia passata. Lo proporranno per una medaglia al valor civile!”
“Bene, ottimo, stupendo – riprese il capo – Ora, Cosimo, tocca a te. Marco Ruzzi stasera ha capito qualcosa. Lo abbiamo preso al volo, cerca di farlo crescere nell’amore”.
Cosimo, lo sguardo basso, felice per lo scampato pericolo, ma un po’ preoccupato, alzò lo sguardo e sorrise, agitando le ali. “Cercherò” disse.

In quel momento scoccavano i rintocchi della mezzanotte. Qualcuno bussò ai vetri della porta. Entrò un bel giovane sulla trentina in doppio petto “Si può?” disse infilando la testa nella stanza. “Sicuro, sicuro!” disse il capo dirigendosi verso la porta con un largo sorriso, “sei sempre il benvenuto, qui. E poi sei il gran capo!”
“Com’é?” chiese l’ospite
“Credimi: una giornataccia!”
Riprese: “Ho saputo della brutta faccenda, mi spiace di avervi fatto lavorare alla Vigilia di Natale, ma ho visto che le cose sono andate bene. Bravi, continuate così. Ora vi saluto, vado a continuare il giro”
Strinse la mano a tutti, visibilmente imbarazzati per tanta attenzione, poi si diresse verso la porta.
Il capo barbuto disse: ” … a proposito: buon compleanno, Signore”.
Gesù si girò, sorrise “Buon Natale a te, Pietro, e a tutti voi. Siete proprio degli angeli”.