XXXIII Domenica del Tempo Ordinario
PRIMA LETTURA Ml 3, 19-20
SECONDA LETTURA 2 Ts 3, 7-12
VANGELO Lc 21, 5-19
Mi scuseranno gli amici internauti se oggi non si ritroveranno con le letture che si proclameranno nelle proprie celebrazioni parrocchiali. Oggi, nella Chiesa di Aosta e nelle Chiese sorelle del Piemonte si celebra, alla fine dell’anno liturgico, la Solennità della Chiesa locale e la dedicazione della propria chiesa parrocchiale. Una festa simpaticissima: celebriamo il momento in cui – per la prima volta – venne annunciato il Vangelo nella nostra Chiesa locale (la Diocesi) e la dedicazione (la “consacrazione”) della chiesa-tempio della nostra comunità. Una festa forse ai più sconosciuta ma a me –buon valdostano – carissima.
Parto da un episodio accadutomi nell’ultimo viaggio in Israele. Ho voluto prevedere, durante il Pellegrinaggio, anche il gemellaggio in una parrocchia Palestinese. La scelta è caduta su di una piccola comunità vicino a Nazareth: 1500 palestinesi cattolici in mezzo a 14mila fratelli musulmani. Siamo stati accolti come dei re: il parroco, Youssef, ci aveva preparato dolci e bevande, poi abbiamo celebrato l’eucarestia in arabo e italiano; il piccolo coro delle ragazze aveva preparato canti nuovi e – alla fine – ci siamo intrattenuti con molti di loro sul sagrato. Al ritorno, visibilmente commossi da questa fortissima esperienza di accoglienza, un amico, adulto in cerca di fede, mi ha chiesto: “Don Paolo, da quanto tempo li conoscevi?” e io – sornione – guardando l’orologio “Da due ore”. E’ stata l’occasione per fare una splendida riflessione su cos’è la Chiesa, la più bella testimonianza che quest’uomo avesse ricevuto: essere accolti solo perché cristiani. E io – perfido – giravo il coltello nella piaga: “quale organizzazione, club, sindacato ti avrebbe accolto così, con una telefonata due giorni prima, accolto gratuitamente e cordialmente?”
Ecco, questa è la Chiesa: un gruppo di discepoli del Maestro Gesù radunati intorno alla Parola e all’Eucarestia, in comunione con il proprio Vescovo e con altre comunità sorelle. La Chiesa ha scelto di essere presente sul territorio in quella forma povera e scipita che è la parrocchia. La parrocchia è e vuole restare la presenza del Vangelo tra le case, sul territorio. Bene i movimenti e le associazioni, che sono un po’ come i tifosi “ultras” di una squadra, ma l’accoglienza di una comunità parrocchiale è insostituibile.
La festa di oggi ci dice due cose, splendide. La prima è che basta una comunità radunata intorno al proprio Vescovo in comunione con le altre Chiese locali per fare interamente esperienza di Chiesa. La Chiesa non è massa indistinta radunata intorno ad un ideale ma esperienza concreta e misurabile di un discepolato. Ma, nella mia esperienza di parroco di alta montagna, vedo che questa appartenenza, questa storia, è troppe volte dimenticata. Io faccio parte della gloriosa Chiesa di Aosta, fondata nel IV secolo, Chiesa con una storia densa ed emozionante: grandi santi come Grato e Orso, Anselmo e Bernardo, grandi intuizioni come le scuole di villaggio e la difesa del particolarismo, grande solidarietà con la gente del paese (mai la Valle d’Aosta è stata devastata da guerra civile) hanno caratterizzato la “mia” comunità. Oltre 700 cappelle e 90 chiese parrocchiale ricordano continuamente di questa ricerca, di questa appartenenza. Certo, ora le cose sono cambiate: la fragile economia di montagna ha lasciato spazio al benessere e a nuovi problemi. Ma questa è la realtà che vivo e che ospita fratelli turisti di altre Chiese. I quali quasi mai sanno chi sono e da dove provengono. Chiese importanti come quella di Milano, che hanno brillato nella carità come quella di Torino, che vivono importanti cambiamenti come quella di Genova hanno fedeli che si riposano tra noi. Ora, scusate lo sfogo da parroco, ma sono piuttosto sconcertato nel vedere campeggi e oratori che vengono ospitati in un luogo (e da una Chiesa locale!) senza prima informarsi, senza voler conoscere, senza desiderare dialogare.
La seconda cosa su cui riflettere è il ruolo della chiesa-tempio nelle nostre comunità. Una chiesa-tempio, per un cristiano, è sacra solo perché accoglie una Chiesa-comunità. Al cristianesimo è del tutto estraneo un atteggiamento “sacrale” dei luoghi, come la città proibita o cose del genere. Abbiamo a cuore i nostri templi perché testimonianza di fede del nostro passato e segno di unità per il presente.
Infine due auspici per questa giornata: auguro a me e a tutti una maggiore “cattolicità” (cioè: universalità) col desiderio di sentirsi veramente comunione di chiese locali in comunione tra loro e con la chiesa-madre nella fede che è Roma; e auguro maggiore cristiana fierezza nell’appartenere ad una lunga storia di luce, fatta di sbagli certo, perché fatta da uomini, ma che ci ha consegnato Cristo.
Lode a chi ci ha preceduto nella fede, lode a chi ci ha consegnato il Vangelo.
Diranno lo stesso di noi, i figli dei nostri figli ?