Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo del 26 Aprile 2020

  1. In quel tempo. Giovanni, vedendo il Signore Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Il Messia venuto

Giovanni Battista vede Gesù “venire verso di lui” : è Dio che prende l’iniziativa, è lui che viene incontro, è lui che muove i primi passi, sempre.

Eppure il Battista stenta a riconoscerlo.

Sono parenti, lui e Gesù, e quindi Giovanni lo conosce, ma lo vede con occhi diversi, consueti, abituali, il segno del Battesimo lo spinge a capire, lo obbliga a riconoscere il figlio bene-amato, nel quale il Padre si compiace.

Il problema del Battista è il nostro: guardare senza vedere, sapere già, essere abituati.

Giovanni deve aguzzare lo sguardo interiore per riconoscere nella banalità del quotidiano la presenza del Messia.

É questa la radice del problema, di ogni problema: la dimenticanza, l’abitudine, la compagnia di Cristo che diventa sbadiglio e vaga rassicurazione.

Non pensate ad un momento passato: oggi Cristo ti viene incontro, con discrezione (al solito), con semplicità e verità.

Abitudinari della fede, discepoli della prima ora, state desti, per favore, siate attenti, Dio vi scampi dal rischio del professionismo nella fede.

Questo Dio che passa va riconosciuto ed accolto, ciò che ci viene chiesto è, semplicemente, di accoglierlo.

Chi è Gesù?

Tre titoli vengono attribuiti a Gesù, tre sintesi di un cammino semplice e strepitoso fatto da chi scrive, Giovanni l’evangelista, discepolo prima del Battista e poi del Nazareno, e dalla sua comunità.

Gesù è l’agnello di Dio che porta il peso del peccato (1,29), colui su cui rimane lo Spirito e battezza in Spirito (1,33), il Figlio stesso di Dio (1,34).

Sono titoli teologici che possiamo scoprire nella nostra ricerca di Dio.

Gesù è l’agnello che porta il peccato, come quello usato nello Yom Kippur, giorno di purificazione del popolo che scarica le sue colpe sul capro immolato in sacrificio per tutti, immagine prefigurata in Isaia del mite agnello condotto al macello. Rispetto alla tragedia dell’umanità, all’inquietante dilemma del male e della violenza, Dio si schiera, si esprime, si coinvolge: egli è colui che si lascia uccidere, che assume su di sé sofferenza e tenebra, che la redime, portandola.

Giovanni resterà turbato dal vedere il Messia mischiato tra la folla di penitenti.

Dio condivide e assume su di sé tutta l’oscurità e la fragilità del mondo, si sporca le mani, non guarda dall’alto, redime dal basso. Il dolore del mondo è assunto, salvato, redento.

Non è vero che vogliamo capire la ragione del dolore, ciò che vogliamo è non soffrire oppure, ed è ciò che Dio fa accadere, redimere questo dolore, dargli un peso, un’utilità.

Amico che soffri, amico travolto dalla tenebra, la tua tenebra è portata, accolta, salvata.

Egli è colui che dona lo Spirito in abbondanza; lo Spirito: dono del Risorto, colui che permette al discepolo di accorgersi di Dio, che lo mette in sintonia.

Fede che non è sforzo ma scoperta, non conquista ma abbandono, lasciando che lo Spirito che dà vita ad ogni cosa ci apra – finalmente! – lo sguardo dentro.

L’incontro con Dio non migliora né peggiora la mia vita, non mi mette al riparo da fatica e contraddizione, gli eventi tristi e allegri si alternano come nella vita di chiunque.

Ma la presenza dello Spirito mi permette di vedere in maniera diversa, di cogliere il disegno, di percepire la tessitura nascosta.

Il Signore dona lo Spirito senza lesinare, permette, ai discepoli che restano attenti e aperti alla Parola, di leggere la propria e l’altrui storia con uno sguardo nuovo.

Egli è, infine, il “figlio di Dio”; non un grande uomo, non un profeta, non un uomo di tenerezza e compassione, ma la presenza stessa di Dio.

Non c’è mediazione su questo, non sofismi e ragionamenti: la comunità primitiva crede che Gesù di Nazareth, potente in parole ed opere, non sia solo ispirato da Dio, ma parli con le parole stesse di Dio poiché in lui abita la presenza stessa del Verbo di Dio.

Dio è accessibile, amici, visibile, chiaro, manifesto, incontrabile, evidente; si racconta, si spiega, si dice, si rivela.

Lo accoglieremo?

O continueremo ad accarezzare e celebrare un Dio più approssimativo e simile alle nostre segrete immagini di lui?

Paolo Curtaz

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