Quindicesima domenica durante l’anno, anno di Luca

Dt 30,10-14/Col 1,15-20/ Lc 10,25-37

Invece

Come devo fare per essere felice? Per avere in me la vita di Dio, l’Eterno?

Come leggi la Parola?, chiede Gesù al dottore della Legge. E a me.

Come. Non cosa, quale. Come: con che desiderio, con quanto rispetto, con quanta attenzione e cura.

Amerai, ha letto lo studioso.

L’amore declinato al futuro. L’amore proiettato in avanti. L’amore che diventa consapevolezza di essere agapetoi, amati da Dio e la scelta di ricambiare, di amare Dio con forza, con intelligenza, con passione. Per essere colmati di quell’amore divino per poterlo donare agli altri.

Come un’eccedenza, come il cuore che tracima. Ha letto bene, ha capito, sa.

Giusto: si tratta solo di vivere in quell’amore, giorno per giorno, un piccolo passo possibile alla volta, chiosa il Signore.

È in imbarazzo, ora, il teologo. Sa ma non sa come vivere ciò che sa.

La sua fede è chiusa nella sua bella teoria. Nella sua straordinaria elucubrazione.

Amare è fatica, libertà, dono, rinuncia, concretezza. Tanta roba, forse troppa.

Allora cerca di svicolare, di restare nella mente, nelle sue piccole categorie.

Come se l’amore si potesse comprimere e organizzare.

Amare , d’accordo, ma quale prossimo?

L’ebreo che vive i precetti, come dicono i rabbini farisei, escludendo i superficiali?

O amare tutti i fratelli ebrei come osavano i più aperti (ovviamente amare i non ebrei non era un’opzione contemplata)? Sorride, ora, il Maestro. […]

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