Seconda domenica di Pasqua

At 5,12-16/Ap 1,9-11.12-13.17-19/ Gv 20,19-31

Il credente

Gesù è vivo. Sul serio.

Lo è nelle nostre vite, nella nostra ricerca, in ogni gesto che esprime l’amore che ha cambiato il nostro sguardo, che ci ha fatti scoprire agapetoi, amati dal Signore. Lo è in questa attesa operosa, in questo tempo di mezzo fra la sua venuta nella storia e il suo ritorno nella gloria. È vivo nelle nostre comunità scassate, in quelle luminose che vivono la persecuzione, in quella profetiche di minoranza che si oppongo alla catechesi di questo mondo.

È fragile la nostra fede. È fragile la mia fede.

Perché credo, certo che credo, Dio sa se credo, ma ho paura. Degli altri, del giudizio, dei miei limiti, della mia fragilità. Allora mi chiudo in un qualche Cenacolo, intimorito dalla violenza, dalla polarizzazione (che ha infettato anche la Chiesa), dalla logica del mondo che non è la mia. Io e il mio Gesù, chiusi in una sacrestia, sperando che non si accorgano di noi. Idioti. Idiota.

Viene il risorto, a porte chiuse. Entra comunque.

Spiazza.

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