e il peccatore le porta dentro, scrive Ben Sirach bella prima lettura di oggi.
Il discepolo, invece, decide di spostarle fuori, di riconoscerle come evoluzione malata della rabbia che tutti portiamo nel cuore, dell’aggressività che fa muovere il mondo ma che, se non orientata a costruire, distrugge.
Zelo e passione che danno forza vivificante, determinante, essenziale (Gesù stesso ha avuto, documentato, un travolgente scatto d’ira nel tempio) irrancidiscono e diventano distruttive, degenerando nel rancore, nel vittimismo, nell’invidia, se non orientate e rendente.
E rabbiosi paiono questi tempi, in cui la situazione sociale problematica evidenziatasi a causa della pandemia e dalla guerra in Ucraina, fa emergere i mostri che portiamo in noi. In tutti noi.
Basta leggere i commenti sui social, e l’esasperazione delle opinioni, dalla politica allo sport (e, purtroppo, alla Chiesa), basta accorgersi della progressiva degenerazione dei comportamenti.
In me abitano luce e tenebre, un “me” che costruisce e uno che distrugge. Una sorta di rissoso parlamento interiore in cui devo alla fine decidere a chi dare la maggioranza.
Essere discepoli non cambia questo dato di partenza. Illudersi di mettere a tacere la minoranza rancorosa o, peggio, ammantarla di buoni propositi, ci impedisce di affrontare da adulti la questione.
Sì, c’è rabbia in me. Un “me” che si sente vittima di ingiustizia.
Un “me” che fatica a sopportare chi non la pensa come me, chi mi critica. Anche se sono discepolo, o prete, o suora, o vescovo.
Eppure, come ci ricorda Paolo scrivendo ai Romani, tutto quello che siamo appartiene a quel Signore fuoco divorante che vogliamo seguire.
Allora parliamo di perdono, unico modo di superare ogni rabbia. […]
Commento al Vangelo del 17 Settembre 2023
Ventiquattresima domenica durante l’anno
Sir 27,30-28,7/ Rm 14,7-9/ Mt 18,21-35
Debiti e crediti. D’amore.
Rancore e ira sono cose orribili,
e il peccatore le porta dentro, scrive Ben Sirach bella prima lettura di oggi.
Il discepolo, invece, decide di spostarle fuori, di riconoscerle come evoluzione malata della rabbia che tutti portiamo nel cuore, dell’aggressività che fa muovere il mondo ma che, se non orientata a costruire, distrugge.
Zelo e passione che danno forza vivificante, determinante, essenziale (Gesù stesso ha avuto, documentato, un travolgente scatto d’ira nel tempio) irrancidiscono e diventano distruttive, degenerando nel rancore, nel vittimismo, nell’invidia, se non orientate e rendente.
E rabbiosi paiono questi tempi, in cui la situazione sociale problematica evidenziatasi a causa della pandemia e dalla guerra in Ucraina, fa emergere i mostri che portiamo in noi. In tutti noi.
Basta leggere i commenti sui social, e l’esasperazione delle opinioni, dalla politica allo sport (e, purtroppo, alla Chiesa), basta accorgersi della progressiva degenerazione dei comportamenti.
In me abitano luce e tenebre, un “me” che costruisce e uno che distrugge. Una sorta di rissoso parlamento interiore in cui devo alla fine decidere a chi dare la maggioranza.
Essere discepoli non cambia questo dato di partenza. Illudersi di mettere a tacere la minoranza rancorosa o, peggio, ammantarla di buoni propositi, ci impedisce di affrontare da adulti la questione.
Sì, c’è rabbia in me. Un “me” che si sente vittima di ingiustizia.
Un “me” che fatica a sopportare chi non la pensa come me, chi mi critica. Anche se sono discepolo, o prete, o suora, o vescovo.
Eppure, come ci ricorda Paolo scrivendo ai Romani, tutto quello che siamo appartiene a quel Signore fuoco divorante che vogliamo seguire.
Allora parliamo di perdono, unico modo di superare ogni rabbia. […]
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