Quattordicesima domenica durante l’anno

Is 66,10-14/ al 6,14-18/ Lc 10,1-12.17-20

Pochi lavorano

Dalla paura del Covid alla paura del vaccino alla paura della guerra alla paura della crisi economica (basta fare il pieno o comprare la frutta per accorgersene). Da anni, ormai, ci nutriamo di paure.

La crisi economica, culturale e di civiltà che stiamo vivendo mettono a fuoco alcune cose che forse non erano ancora così chiare.

Il momento è piuttosto delicato, i nodi vengono al pettine. Anche per la Chiesa. La nostra Chiesa.

Che diamine, viviamo in Italia, la terra dei santi, dei navigatori e dei poeti!

Respiriamo cristianesimo da quando veniamo al mondo, siamo immersi in testimonianze d’arte che rimandano continuamente al Vangelo, teniamo così tanto alle nostre feste cristiane!

Tutto vero.

Più o meno.

Ma vivere in una società in cui i riferimenti storico culturali ancora si rifanno al Vangelo non significa essere discepoli di chi quel Nazareno professa essere Maestro e Signore. E, alla fine, la cosa è diventata evidente.

Certo, ci sono ampie zone del paese in cui le parrocchie radunano molte persone e si respira una religiosità popolare forte e radicata. Ma, appena si toccano le questione vere del Vangelo, ecco il fuggi-fuggi generale.

Ci scopriamo egoisti, vittimisti, razzisti, rabbiosi.

Come scriveva tempo fa il cardinal Ravasi: è il pensiero cristiano ad essere in minoranza, non il cristianesimo. Non è il cristianesimo ad essere in crisi, ma la forma storica che ha assunto in occidente e che fatica a dire di Dio.

Ecco allora la domanda peperina: esiste ancora la Chiesa? Chi è la Chiesa? Cosa identifica l’essere discepoli?

Il grande Luca ci aiuta, in questo percorso, mettendo a fuoco le necessità del discepolo.

Dal punto di vista di Gesù, non dal nostro. […]

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