Seconda domenica di Pasqua

At 5,12-16/Ap 1,9-11.12-13.17-19/ Gv 20,19-31

Beato me

Metti qui il tuo dito

Guarda le mie mani

Tendi la tua mani

Mettila nel mio fianco.

È perentorio il Risorto, con Tommaso. 

Non discute. Sorride, mentre parla. È venuto apposta per lui, otto giorni dopo la sua resurrezione.

Non era presente, Tommaso, in quella sera piena di meraviglia. Non era con gli altri quando il loro Maestro era apparso dal nulla, mentre ancora, stupiti, commentavano il racconto dei due di Emmaus.

Ma non si era lasciato prendere dall’entusiasmo, Tommaso, una volta tornato nella stanza al piano superiore. 

Non aveva creduto alle loro parole, non al Risorto. 

Poco credibili, tutti: Andrea, Pietro, Filippo, tutti era fuggiti. E anche lui, Tommaso, era stato travolto dalla paura.

E ora erano lì a dirgli, lo sguardo trasfigurato, luminoso, raggiante, che Gesù era venuto a trovarli, vivo.

Sì, certo, come no.

Non ha creduto ai suoi compagni. Troppo incoerenti, troppo deboli, troppo fragili.

Come noi, poco credibili. Assolutamente poco credibili. I peggiori testimoni del risorto che si possano immaginare. Noi. Noi Chiesa claudicante troppe volte muro e non vetro, troppe volte ostacolo e non epifania, così pesantemente ancorata al limite, alla paura, al calcolo, alla finzione.

Non crede ai suoi amici perché, onestamente, non sono credibili.

Ma resta. Diversamente da noi che, a volte, ci sentiamo, se non migliori, almeno non peggiori di questi cattolici di abitudine. 

Non fugge. Non alza il saopracciglio, infastidito da questi quattro topoloni.

Non fa il superiore, Tommaso. Rimane. E fa bene, perché viene il Signore. Apposta per lui. […]

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