1. Lettura del Vangelo secondo Matteo 15, 32-38

    In quel tempo. Il Signore Gesù chiamò a sé i suoi discepoli e disse: «Sento compassione per la folla. Ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non vengano meno lungo il cammino». E i discepoli gli dissero: «Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini».

    Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene. Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Fame

Abbiamo fame, tanta.

Non la fame di cibo. Quella, almeno in occidente, è lasciata al passato.

Fame di significato, di senso, di pienezza, di felicità, di pace.
Fame che colmi i cuori, i nostri cuori, ogni cuore.

Possiamo interpretare la nostra vita come una ricerca di sazietà: affetti, soddisfazioni, gioie… tutto quello che facciamo, a pensarci bene, serve a colmare quella fame profonda, assoluta, che alberga nei nostri cuori.

A volte ci accontentiamo delle piccole e temporanee sazietà che la vita ci offre. Pensiamo di avere capito e fatto tutto perché siamo riusciti a realizzare qualche sogno.

Quanto è difficile suscitare fame in chi ha la pancia piena! La fame di senso, di felicità, di pace a chi si accontenta della piccole (legittime) gioie che la vita ci offre!

Il primo passo verso la conversione è la consapevolezza del desiderio felicità profonda che portiamo nel cuore

Gesù vede la nostra fame profonda. Sa che non abbiamo in noi stessi la risposta alle grandi domande. Sa che corriamo il rischio di accontentarci dell’oggi, senza avere più sogni, senza desiderare più nulla.

Per sei volte gli evangelisti parlano della moltiplicazione dei pani. È un miracolo fondamentale, non tanto per la potenza del gesto, quanto per l’intensità del suo significato.
Gesù prova compassione per la folla, patisce insieme.

È un atteggiamento profondo, il termine greco soggiacente ha a che fare con le viscere, un sentimento di profonda condivisione.
Bene – pensiamo – allora è fatta!

Se Dio prova compassione per noi certamente risolverà il problema!
Macché.

Folle
Molta gente si raduna attorno a Gesù.

Ha compassione, il Signore, ama il popolo, sa di cosa abbiamo bisogno. Non è distratto il nostro Dio, non se ne sta sulle nuvole a governare le formichine. Eppure, davanti alla folla, il Signore non agisce, ma chiede ai suoi di agire.

Con tanto buon senso i discepoli gli suggeriscono di ignorare il problema: ognuno si arrangi.

Non è forse il messaggio che il mondo ci riporta ogni giorno?
I problemi sono tuoi, affrontali meglio che riesci.

Gesù non ci sta: la fame si può saziare, quella fisica e quella interiore, ma ad una sola condizione: mettersi in gioco.

Pani e pesci

Non siamo capaci, non abbiamo i mezzi, non abbiamo sufficiente fede, abbiamo troppa zizzania nel cuore.

Ogni scusa è buona per aggirare la richiesta. Gesù insiste: a lui serve ciò che sono, anche se ciò che sono è poco.

La sproporzione è voluta: pochi pani e pesci per una folla sterminata; è una situazione che produce disagio, sconforto, la stessa sensazione che proviamo noi quando cerchiamo di annunciare la Parola, di porre gesti di solidarietà, di bene. Incontro i miei ragazzi e sto con loro un’ora a settimana: giochiamo, parliamo, annuncio loro il bel modo di vivere che aveva Gesù. Poi escono, e per un’intera settimana sentiranno e vivranno il contrario: violenza, egoismo, opportunismo.

Vivo come uomo di pace e i miei colleghi d’ufficio ne approfittano e mi fregano.

Consacro la mia vita al Vangelo, corro come un pazzo da una Parrocchia all’altra e la gente pensa che io sia una specie di funzionario di Dio.
Occorre arrendersi?

No: il nostro è gesto fecondo se accompagna l’opera di Dio, è segno profetico che imita l’ampio gesto del seminatore, è icona di speranza che imita la pazienza verso la zizzania del padrone del campo.

L’altro pane

Matteo, nel raccontare il gesto di Gesù, allude chiaramente all’eucarestia della comunità.

Troviamo la forza per metterci in gioco, per condividere quel poco che siamo solo e a condizione di attingere al gesto straordinario di Gesù che, lui per primo diventa cibo.
L’eucarestia diventa forza e modello del nostro agire.

Anche noi, come Cristo, possiamo diventare pane spezzato per gli altri!

Paolo Curtaz